Le Olimpiadi del dissenso

di 8 Febbraio 2022

“Assieme per un futuro condiviso” è il motto delle Olimpiadi invernali in corso. Un appuntamento ricorrente che, secondo le sue antiche intenzioni, dovrebbe servire se non altro da tregua dagli antagonismi, da riconciliazione, ma non da distrazione dal più generale circostante stato critico. L’Olimpiade estiva del 2008, svoltasi anch’essa a Pechino, dette invece alla Russia l’occasione per aggredire la Georgia. Né quella del 2014 a Sochi, sul Mar Nero, impedì al Cremlino di invadere il Donbass e annettere la Crimea.

Anche questa volta, si direbbe, la fiamma olimpica non dissipa gli incombenti diffusi pericoli di guerra. Con la diplomazia apparentemente impossibilitata a far altro che lambire i contorni delle tante crisi in atto, mentre le rispettive ragioni e intenzioni, invece di combinarsi, si incrociano, aggrovigliandosi.

L’Ucraina è al centro dell’attenzione, ma le cose non vanno meglio altrove, in Siria, in Libia, in Mali, dove le forze speciali (“private” dice il Cremlino) vanno ostruendo se non scalzando la presenza occidentale, diversamente impegnata. Sulle piste innevate Russia e Cina hanno trovato l’occasione per ostentare i loro ‘approcci che coincidono” (non proprio un’alleanza), e dare fiato alla retorica della loro solidarietà nelle rispettive recriminazioni nei confronti dell’Occidente.

Nell’ennesima prova di forza, per ora più che altro verbale, la diplomazia europea non è, come si dice, imbelle. La Presidenza di turno francese di una Unione troppo numerosa per potersi muovere all’unisono tenta di irretire le iniziative che Putin considera di ‘difesa attiva’: innescando i gruppi informali ristretti, dal “formato di Weimar” al “gruppo Normandia” che associano la Francia rispettivamente a Germania e Polonia, e al Regno Unito e Russia. A dimostrazione di quanto, specie dopo la defezione di Londra, Parigi intenda avvalersi del suo status di membro permanente europeo del Consiglio di Sicurezza, in implicita rappresentanza dell’Unione.

Le iniziative europee possono d’altronde aggregare altri attori internazionali. Ad evitare che il Mar Nero diventi un lago russo (Mosca chiede persino che la NATO non dislochi proprie postazioni militari in Bulgaria e Romania), la stessa Turchia, che non ha riconosciuto l’annessione della Crimea, si schiera apertamente con l’Ucraina, proponendosi anche nelle regioni limitrofe, nel Caucaso e in Siria.

L’intervento in Libia del 2001, l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano avevano beneficiato del consenso unanime della comunità internazionale. Se ne sono perse le tracce. La Cina afferma di voler “promuovere una maggiore democrazia nel sistema delle relazioni internazionali”, ma si astiene dal parteciparvi attivamente. L’Afghanistan, il Sudest asiatico, la Corea del Nord rimangono, per ora, sullo sfondo, nell’apparente generale indifferenza.

Lasciando ampi spazi all’espressione di riflessi nazionalisti, sovranisti; non soltanto nelle tante autocrazie ma nelle stesse nostre ‘società libere’. Con l’ucraino Zelenski che, paradossalmente, esorta alla calma, e l’ungherese Orban che si reca a Mosca per rassicurare Putin. Per uscire dallo ‘splendido isolamento’ nel quale si è cacciato, il Regno Unito prende con decisione le parti dell’Ucraina. Appesantita dai suoi trascorsi, la Germania è ingiustamente accusata di passività.

E l’Italia si illude di poter mediare e districare la matassa, avvalendosi della sua antica benevolenza nei confronti di Mosca.  Rieletto, ad evitare il perdurare di confusioni sulla nostra collocazione internazionale, il Presidente Mattarella si è comunque subito premurato di mettere certi ‘puntini sugli i’ anche in materia di politica estera.

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