Gli Italiani da sempre guardano al Presidente della Repubblica come ad una figura al di sopra delle parti, una sorta di pater (o anche mater, perché no?) patriae che, indipendentemente dalla propria appartenenza di partito, si è guadagnato negli anni la stima e il rispetto di tutte le forze della società e della politica. I cittadini, inoltre, attraverso il loro Presidente, si sentono idealmente rappresentati all’estero ed è quindi loro vivo interesse, o almeno così dovrebbe essere, che sia scelta una figura dall’alto profilo politico e istituzionale. Chi giunge al Quirinale in qualità di Presidente, pertanto, sa che porre il piede nella casa degli italiani significa che, nell’arco del settennato, il suo compito sarà servire il Paese nella modalità più alta.
Se noi guardiamo agli uomini che si sono succeduti al Quirinale, troviamo giuristi insigni (De Nicola, Segni, Leone, Cossiga), economisti di chiara fama internazionale (Einaudi, Ciampi, quest’ultimo con una prima laurea in Lettere!), personalità dalla profondissima cultura storica, giuridica, politica, figure che si sono formate nelle file dell’antifascismo prima, della Costituente poi. Certamente, la generazione dei Costituenti è terminata per il naturale corso degli eventi, ma possiamo ancora contare su figure che hanno attinto da loro l’esempio, la prassi, la rettitudine. Il Presidente Mattarella ne è stato, e ne è tuttora, un mirabile esempio. Guardando alle imminenti elezioni, lo sguardo al passato è necessario, perché esso fornisce la traccia per proseguire la nobile tradizione.
Nella nostra storia Repubblicana, in cui i Governi cadevano e si alternavano, il Presidente della Repubblica è sempre rimasto solido punto di riferimento: salire al Colle ha sempre significato, per politici e uomini delle Istituzioni, rivolgersi a chi avrebbe risolto la situazione, attirandosi sempre le critiche, anche dure e non prive di fiele, critiche che, tuttavia, non hanno mai trovato eco, non volendo – i Presidenti – esacerbare i toni o entrare nella dialettica politica. I nostri Presidenti, nel corso degli anni e delle alterne vicende della nostra storia, hanno dovuto affrontare momenti di grave crisi e sempre lo hanno fatto con serietà e gravità istituzionale: basti pensare al Presidente Leone alla cerimonia funebre di Aldo moro in San Giovanni in Laterano o, ancora, il Presidente Scalfaro che dovette affrontare le proteste dei palermitani ai funerali del giudice Borsellino. Proprio lui che aveva iniziato il suo mandato a seguito dell’attentato di Capaci, un attentato che aveva sbloccato lo stallo nel quale versavano le elezioni a seguito delle dimissioni anticipate del Presidente Cossiga.
Venendo ad anni più recenti, non è possibile non ricordare il ruolo del Presidente Mattarella nel garantire l’ordine pubblico e la formazione di un Governo giallo – verde prima, giallo rosso poi, assumendosi le accuse di impeachment senza mai muovere alcuna recriminazione. A rischio era la tenuta del Paese. Siccome è storia recente e il revisionismo storico non ha ancora messo il suo zampino, va ricordato che nel 2018 l’onorevole Luigi Di Maio parlò apertamente di impeachment per Sergio Mattarella. L’allora capo politico del Movimento 5 stelle, intervenuto telefonicamente a Che tempo che fa per essere intervistato da Fabio Fazio, disse: “Se andiamo al voto e vinciamo, poi torniamo al Quirinale e ci dicono che non possiamo andare al Governo.
Per questo dico che bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto, anche per evitare reazioni della popolazione”. Per dovere di cronaca e obiettività storica, va ricordato anche che fu determinante l’intervento del PD e di Forza Italia a difesa del Presidente della Repubblica: era chiaro che la crisi politica si sarebbe trasformata in una crisi istituzionale. Il nostro sistema democratico rischiava pesantemente il collasso. La gente comune si sentiva smarrita, non solo per una classe politica litigiosa (a questa ormai siamo avvezzi) ma soprattutto perché era messo in crisi il garante dell’ordine pubblico e cioè il Presidente della Repubblica.
La storia recente traccia, pertanto, il profilo del Presidente della Repubblica Italiana. In queste ore ci corre l’obbligo di ricordare i momenti bui del nostro passato non per evidenziare l’incoerenza o forse il cammino di maturazione che i nostri giovani politici hanno compiuto, sviluppando un approccio alle Istituzioni più responsabile, ma perché, quando pensiamo al Presidente della Repubblica, dobbiamo pensarlo come una figura che deve essere capace per competenza, esperienza, maturità, di garantire il Paese da eventi tragici che non potremmo certamente evitare, qualora non fosse eletta una figura autorevole tale da inserirsi nell’alveo della storia del Quirinale.
Oggi godiamo e apprezziamo l’unità politica, il senso di responsabilità dei nostri parlamentari che, sotto la guida ferma e lucida del Premier, servono il Paese ma non possiamo scordare che la storia è fatta di cicli che si ripetono. Tornerà chi accuserà il Presidente, chi metterà a rischio la democrazia, chi riterrà le aule del Parlamento una scatoletta di tonno da aprire, chi penserà che si può trascinare il Paese in giustizialismo esasperato, in una esemplificazione che banalizza e alimenta le discriminazioni. Davanti a tutto questo solo un Presidente di elevata caratura morale e istituzionale può affrontare la situazione, al meglio.
Il senso delle Istituzioni, la preparazione del Presidente Mattarella scongiurarono il collasso; in tutto questo vedo, con Padre Cristoforo, un filo della Provvidenza, considerato che, dopo due anni, il Paese Italia e il mondo sarebbero stati piegati da un dittatore invisibile, il covid, che avrebbe generato una crisi economica senza precedenti. Anche su questo fronte i danni sono stati ridotti dal Presidente Mattarella e dalla seconda carica dello Stato, la Presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, che, incessantemente, hanno invocato che si ritornasse alle vie della democrazia e cioè al Parlamento.
Il Paese è pronto per avere una donna al Quirinale
Non è una questione di genere ma di contenuti. Non è una questione di slogan ma di strumenti. Credo che il profilo del Presidente della Repubblica debba essere, per esperienza e formazione, capace di garantire le vie della democrazia con una classe politica che ha un lungo percorso di maturazione da completare.
L’Italia è pronta ad avere un Presidente della Repubblica donna, soprattutto se ha una figura competente, con alto senso delle Istituzioni e che ha condotto il Senato nei tempi più burrascosi, come in quel dicembre 2018 quando sembrava messo in discussione. Sfido, dunque, la politica, ad uscire dai pregiudizi e ad agire con realismo nell’intenzione di fare il vero bene della società civile.
Se i grandi elettori riusciranno a candidare e a votare una donna, ciò sarà un segnale storico unico nel Paese Italia che tanto si è battuto per la parità di genere e si è sdegnato di fronte a comportamenti poco rispettosi, come quando la Presidente Ursula Gertrud von der Leyen fu lasciata in piedi, nell’imbarazzo generale dei presenti.
Nei momenti chiave è giusto porsi una domanda: quanto realmente crediamo negli ideali che professiamo? La bocca esprime ciò che davvero il cuore concepisce?
Da semplice cittadina ritengo che normalmente è facile ricevere e offrire la solidarietà di tutti, uomini e donne ma … non è sempre scontato, per la mentalità corrente, pensare ad una donna al vertice delle Istituzioni. Le rivalità, poi, non hanno confini di genere… Può dispiacere, ma la natura umana – se proprio non si vuole ricordare l’Homo homini lupus – è sicuramente fragile, qualunque ne sia il genere.
La vera sfida è sulla coerenza. Dove sono tutti coloro che si sono stracciati le vesti per difendere la parità di genere? È sempre il momento di passare dalle parole ai fatti. Una donna al Quirinale? La domanda neppure dovrebbe porsi, se pensiamo che il nostro Paese abbia raggiunto la maturità espressa dalla sua meravigliosa Costituzione e da decenni di riflessioni, di sofferenze, di esempi luminosi in ordine alla parità di genere. Perché no? In questo perché no c’è tutto: lo stupore delle cittadine e dei cittadini italiani che quotidianamente lavorano, le loro attese, le loro speranze. Altrimenti vanitas vanitatum et omnia vanitas.