Lo ‘scatolone di sabbia’

di 2 Gennaio 2022

In Libia, com’era prevedibile, le elezioni non avranno luogo; né, vent’anni dopo la caduta di Gheddafi, potranno svolgersi nell’immediato futuro.  

Dobbiamo renderci conto di avere, alle porte di casa nostra, un altro Afghanistan: un territorio frantumato in tribù e fazioni contrapposte, che persino nell’impero ottomano era mai stato nazione unica. Diviso dall’antichità, come dimostrano le splendide rovine archeologiche di Cirene e Leptis Magna, fra la Cirenaica dall’influenza greca poi tolemaica e la Tripolitania fenicia poi romana. L’una agricola, l’altra carovaniera, separate dalla ‘terra nullius’ di un Fezzan desertico. Che soltanto l’occupazione italiana aveva unificato, resuscitando l’appellativo attribuitogli dall’antica Roma. 

Nel dopoguerra, le cure britanniche non riuscirono a puntellare l’autorità del cirenaico Re Idriss.  Lo stesso Gheddafi, di estrazione tribale, non assunse poi mai il titolo di Presidente, proclamandosi generico ‘leader’ di una ‘jamahiria’, dall’organo parlamentare installato a Sirte, a metà strada fra le due principali realtà nazionali. Che lo stesso Mondo arabo stentava a riconoscere come proprio, inducendo il Colonnello a proclamarsi piuttosto rappresentante dell’intero continente africano.

Una situazione che perdura nel rendere quel territorio una realtà indefinita, più che uno ‘Stato fallito’, che divide gli stessi sostenitori esterni delle opposte fazioni, che consente le interessate intrusioni di Russia e Turchia, che vanifica gli sforzi di un’ONU i cui tanti ‘rappresentanti speciali’ hanno presto gettato la spugna. Un pericoloso vuoto strategico che non può rimanere lo ‘scatolone di sabbia’ trovato dall’Italia giolittiana.

Pretestuosa è la nostra ricorrente accusa che vi sia una frattura nell’atteggiamento dell’Unione, per il sostegno francese al Generale Haftar, che andrebbe semmai considerato come il tentativo di recuperarne un più costruttivo atteggiamento. Le consultazioni bilaterali disposte dal Trattato del Quirinale dovrebbero finalmente servire a dissipare ogni equivoco e sviluppare una strategia comune fra i due membri dell’Unione maggiormente interessati alla stabilizzazione della situazione mediterranea. Nel rilancio della ‘politica di vicinato’ dell’Unione, che poca rispondenza continua a riscuotere dai suoi destinatari arabi.

A vent’anni dall’intervento internazionale autorizzato dal Consiglio di Sicurezza per eliminare un ‘grave e sistematico’ fattore di instabilità regionale, la questione di creare una parvenza di Stato unitario, indispensabile premessa per lo svolgimento di elezioni, rimane aperta. Nè ci si può rassegnare, come si è fatto in Afghanistan, ad abbandonare la Libia al suo destino. Con il rischio, ben oltre l’esigenza di controllare il flusso immigratorio, di pericolose interferenze ad opera di attori estranei alla regione. 

Il che evidenzia l’urgenza, soprattutto per l’Italia, di pretendere dall’evanescente comunità internazionale l’istituzione dell’ambiente ‘asettico’ indispensabile per costruire una qualche incastellatura statuale, nell’ambito della quale si possano prevedere elezioni rappresentative di una nazione da inventare.

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