Evanescenti feluche

di 22 Dicembre 2021

“Riunirci per ripartire” è l’ambiguo titolo assegnato dal Ministero degli Esteri alla sua ricorrente ‘Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici’ (Ambasciatrici una volta erano le mogli degli Ambasciatori; e ora, come si chiameranno i mariti delle Ambasciatrici: Ambasciatori?). Ma la cosa in discussione, piuttosto che di forma, rimane di sostanza.

Il Segretario Generale Ettore Sequi, funzionario che, a differenza dei suoi predecessori, si è fatto le ossa sul campo, lontano dal centro, in Albania, in Afghanistan, in Cina, ha detto che si tratterà quest’anno di “discutere degli interessi dell’Italia e della sua collocazione nel mondo [termini di riferimento che si dovrebbero dare per acquisiti], del ruolo delle donne nella diplomazia [diverso da quello degli uomini?], di multilateralismo efficace [copyright dell’UE]”.

L’occasione per un consuntivo e l’ulteriore stimolo ad una professione essenziale, che deve tenere il passo con le sfide in un mondo in confusa transizione, dovrebbe servire ad andare ben oltre la mera gestione delle crisi; farsi, è stato appropriatamente detto, “l’incubatore di nuove iniziative”. Il rapporto fra centro e periferia, fra istruzioni e informazioni, andrà però a tal fine invertito. 

Negli ultimi decenni, l’urgenza degli eventi internazionali ha infatti finito coll’esautorare la Farnesina della propria funzione istituzionale di perno e coordinamento dell’operato della nazione all’estero, riducendone i funzionari a burocrati, meri esecutori delle astratte istruzioni di massima loro saltuariamente impartite. Dovranno essere le rappresentanze all’estero a fornire i necessari elementi di valutazione al Ministero che, assistito dal sinora trascurato ‘Ufficio di ricerca, studio e programmazione’, potrà metabolizzarne le indicazioni, diffondendole fra i Dicasteri interessati, a beneficio della superiore funzione di indirizzo della Presidenza del Consiglio.

Diventati soprattutto commessi viaggiatori del ‘Made in Italy’, i diplomatici dovrebbero invece essere messi in grado di avere qualcosa di specifico da dire, di proposte concrete che forniscano un valore aggiunto ai rapporti internazionali. Anche, forse soprattutto, nell’ambito delle organizzazioni internazionali, dell’UE, della NATO, del G7, del G20, nei quali, è stato riconosciuto, “dobbiamo diventare più credibili e ascoltati”.

 Il compito di un diplomatico, diceva Quaroni, è di “intendere ed essere intesi”, all’intersezione dei processi decisionali nelle sedi di accreditamento. Il rapporto più difficile è però spesso, non con le autorità del paese nel quale si è destinati, sempre disponibili ad ascoltare se non a comprendere quanto loro si dice, ma con il proprio governo, distratto dalle eterne preoccupazioni di ordine interno.

Dai tempi di Cavour (che Bismarck considerava il miglior diplomatico di quei tempi), l’Italia si è sempre abilmente collocata negli interstizi, se non nella scia, troppo spesso all’inseguimento della politica altrui. Al giorno d’oggi, però, la nostra classe politica deve rendersi conto che il duplice binario atlantico ed europeo non ci tiene più, come in passato, in carreggiata.

Le sporadiche nostre pubbliche riflessioni sulla politica estera dovrebbero pertanto anche servire a sensibilizzare la nostra opinione pubblica ai fattori internazionali che contribuiscono a determinare il nostro futuro. Da elaborare non al traino bensì congiuntamente ai nostri partner, sulla base delle nostre specifiche condizioni ed esigenze geo-politiche.

Quello di politica estera è un impegno che richiederebbe un Ministro a tempo pieno, non invece a tempo pieno impegnato nella conduzione del proprio partito verso imminenti appuntamenti elettorali. 

Di vera e propria politica estera, alla situazione in Libia; alla Russia e Bielorussia, rispetto alle quali bisogna “ridurre le contrapposizioni sempre più evidenti ai confini orientali dell’Europa, fermi nel condannare qualsiasi provocazione”, pur nell’esigenza di “proseguire un dialogo bilaterale e multilaterale”; alla “funzione di guida” dell’Unione, sulla difesa europea nell’ambito della ‘bussola strategica’ in corso di elaborazione; alla necessità di una “chiara e forte” politica estera e di sicurezza comune; a meccanismi decisionali che vadano oltre la regola dell’unanimità; alla “centralità del rapporto on gli Stati Uniti”, ha accennato pubblicamente solamente il Primo Ministro! A dimostrazione di quanto sopra detto.

PS. All’uguaglianza di genere la Conferenza diplomatica ha dedicato un’apposita sessione plenaria, con le relative recriminazioni e rivendicazioni. Come se numerosi importanti incarichi non fossero da tempo affidati ad ‘Ambasciatrici’: da Washington a Parigi, da Canberra a Beirut, Atene, Sofia, fino alla sommità del Colle, nelle funzioni di ‘Consigliera diplomatica’ del Presidente della Repubblica.

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