Da ultimo, in difesa delle prove scritte agli esami di stato, è giunto anche il “Gruppo di Firenze”, con molti nomi autorevoli a supporto, da Gustavo Zagrebelsky a Donatella Di Cesare.
Finalmente, si potrebbe dire, perché in epoca pre-pandemia (e anche durante) a costituire il baricentro di quasi ogni discussione sulla scuola sono state le prove Invalsi, che dell’argomentare lungo del tema di italiano, del lento e faticoso esercizio della traduzione dal greco o dal latino, della concatenazione “more geometrico” del compito di matematica rappresentano, invece, le parenti di quinto o sesto grado, quelle con le quali forse nemmeno c’è il rapporto di parentela.
Non solo, ma velocità, non tirarla per le lunghe, evitare le “complicate catene di ragioni”, che solitamente impegnano le commissioni chiamate a correggere gli scritti nei concorsi pubblici, sono sembrate a molti un’autentica conquista di questi tempi tristi, visto che in quei concorsi (fatte le debite eccezioni per alcuni ambiti di maggiore tradizione) ora è tutto un trionfo di prove “oggettive” (?) da svolgersi in un’ora e da correggersi in men che non si dica, senza sciupare troppo tempo con subordinate e parentetiche, proposizioni finali e congiuntivi difficili da coniugare.
Come si vede, qualcosa che non torna c’è ed è strano che ai più questa contraddizione sia sfuggita, tra gli appelli al “ritorno all’ordine” per gli scritti della maturità e l’assordante silenzio su tutto il resto, a iniziare dallo svolgimento prêt-à-porter dei concorsi “formula Brunetta”.
Il problema sono soltanto gli scritti della maturità o anche la circostanza che, dall’Invalsi alle prove concorsuali, si certifica una certa perdita di credibilità, se non altro nelle pratiche valutative, del ragionare ben argomentato (perlomeno sotto forma scritta)?
Non torna neppure il fatto che, nel leggere tanti pensosi e pensanti commenti, sembra quasi che negli ultimi due anni di scritti nelle scuole italiane non ne siano stati svolti più, quando, invece, a essere temporaneamente modificato è stato soltanto l’esito finale non il percorso che a esso conduce e che, potrà sembrare strano, di prove scritte (e tante in ogni mese) continua a essere disseminato. Per quanto possa avere l’aria di una sconcertante novità, a stare al tono di taluni interventi, dalla scuola italiana gli scritti (ancora) non sono stati aboliti.
Poi, certo, l’indispensabilità di tali prove nella maturità si potrà argomentare con le armi della linguistica e della psicologia e tutti abbiamo letto (siamo pure un poco antropologi) qualche pagina di van Gennep da sapere che si tratta di un rito di passaggio e che, come tutti i riti cosiffatti, che rito sarebbe senza un rituale iniziatico severo e impegnativo, ma il dibattito rischia di assomigliare alle discussioni (ai tempi) sull’abolizione del servizio militare di leva per i giovani maschi adulti, che chissà, signora mia, quali enormi sconquassi avrebbe portato. Con relative conclusioni alle quali ciascun pensante illuminato può oggi, a servizio di leva abolito, facilmente addivenire.
Condivido pienamente tutto il ciontenuto dell’articolo del collega DS prof . Tonino Ceravolo !!
Un esame .. di Stato , per giunta .. senza le prove scritte .. essenziali nella lingua nazionale e nella materia d’indirizzo , non è’ esame ! La elaborazione personale e la conoscenza /possesso dei contenuti della materia d’indirizzo .. sono essenziali in questo tipo di esame , tante volte revisitato negli anni a decorrere dal 1967/68
Giovanni Policaro … ds in quiescenza