DARIO ANTISERI: «Un’Europa scristianizzata è ancora Europa?»

di 3 Dicembre 2021

Pubblichiamo questo intervento di Dario Antiseri a proposito del dibattito sul documento della Commissione Europea in cui vengono indicati i criteri per la comunicazione interna ed esterna della Commissione con la raccomandazione di evitare di usare termini quali “Natale” e nomi come “Maria” o “Giuseppe” perché troppo cristiani e potenzialmente offensivi per i fedeli di altre religioni.

«L’Europa è socratica nella mente e cristiana nella volontà». Così Salvador De Madariaga. E in realtà se è vero, per dirla con P. B. Shelley, che «noi tutti siamo greci», e altrettanto vero, come ha scritto W. Röpke, che «soltanto il Cristianesimo ha compiuto l’atto rivoluzionario di sciogliere gli uomini, come figli di Dio, dalla costrizione dello Stato e, per parlare come Guglielmo Ferrero, di demolire l’esprit pharaonique dello Stato antico». 

Fu «per semplice osservanza della verità»che Benedetto Croce volle precisare in Perché non possiamo non dirci cristiani che «il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto» – e ciò «per la ragione […] che la rivolu­zione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale e, conferendo risalto all’intimo e proprio di ta­le coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino ad allora era mancata all’umanità». E ne La società aperta e i suoi nemici Popper è pronto a riconoscere che «gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influenza del Cristianesimo […]. I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa». E la coscienza di ogni singola persona, come ultima corte di giudizio nei confronti del potere politico, in unione con l’etica dell’altruismo,«è diventata la base della nostra civiltà occidentale». 

E, qua giunti, solo un’ulteriore annotazione. Prima dei pensatori richiamati, un intellettuale francese amante della libertà come E. Laboulaye faceva presente, in L’etat et ses limites, che noi dobbiamo la nostra libertà moderna al coraggio dei martiri cristiani di fronte al tardo dispotismo romano: «I palazzi dei papi hanno rimpiazzato il palazzo di Cesare, il Vaticano parla di potenza alla Chiesa; ma al di sotto di questo splendido edificio ci sono le catacombe, le quali parlano di libertà».

È «per semplice osservanza della verità» che il valore che il Cristianesimo dà alla libera e responsabile coscienza di ogni singola persona, di ogni uomo “fatto ad immagine e somiglianza di Dio”, ha creato, a livello politico, una tensione che attraversa tutta la storia dell’Occidente. Káysar non è Kýrios: una spina nella carne nelle pretese onnivore del potere politico – principio religioso e insieme etico, sorgente inesauribile di una miriade di “corpi intermedi” (ospedali, orfanatrofi, associazioni di carità, ordini religiosi, confraternite, monti frumentari, scuole cattedrali, università, scuole professionali, cooperative, movimenti politici, casse di risparmio, giornali, case editrici, organizzazioni giovanili, ecc.) che, pur tra cedimenti e collusioni, rappresentano realizzazioni concrete di quel grande principio di libertà e solidarietà che è il principio di sussidiarietà.

Agli inizi degli anni Cinquanta, Nikita Kruscev chiese ad Harold Macmillan – allora ministro degli Esteri della Gran Bretagna – che cosa fosse ciò in cui crede l’Occidente. E Macmillan rispose: «L’Occidente crede al Cristianesimo». È inimmaginabile un’Europa – nella sua storia e nella sua configurazione, nelle istituzioni dello Stato di diritto – senza l’irruzione del messaggio cristiano nella storia degli uomini. E certamente non aveva affatto torto Thomas S. Eliot a sostenere che «se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie». Insomma, un’Europa desacralizzata, che pare aver dimenticato le idealità cristiane, quando esplicitamente non le rifiuta o addirittura le calpesta, questa Europa è ancora Europa?

Della “spaventosa scristianizzazione” della nostra civiltà nessuno può ormai dubitare. Ed è proprio questa – annotava W. Röpke in quella grande opera che è Al di là dell’offerta e della domanda – quella malattia spirituale che via via ha infettato sempre più larghi strati delle popolazioni europee. Ed è esattamente così che del tratto più importante dell’identità europea, cioè del messaggio cristiano, si pretende da più parti di farne a meno quale ospite indesiderato nella propria casa. È quanto accadde, in modo eclatante, allorché si decise che dal Preambolo della progettata Costituzione europea venisse cancellato il richiamo alle radici cristiane dell’Europa. E, in altri contesti, cosa analoga è accaduta e accade a più riprese con la richiesta che, per esempio, venga tolto il crocifisso dai luoghi pubblici, come i tribunali o ancor più dalle scuole, o che venga vietato l’allestimento del presepe negli asili e in tutti gli altri ordini di scuola e in ogni altro edificio pubblico. E, finalmente, ecco la raccomandazione della Commissione europea: eliminare dal linguaggio degli auguri natalizi termini ed espressioni di chiaro riferimento alla fede cristiana. E perché mai tutto ciò? Per la ragione (!!!), si ripete, che si tratterebbe di “simboli” che offenderebbero quanti credono in fedi diverse dal Cristianesimo.

Ora, a parte il fatto che non sono i fedeli di religioni differenti da quella cristiana ad esigere di staccare i crocifissi dalle scuole e dai tribunali, a non allestire i presepi o a imporre la neo-lingua degli auguri, viene subito da chiedersi: per quali mai ragioni fedeli di altri credo non cristiani, fuggiti dai loro Paesi dilaniati dagli orrori di oppressioni e di guerre dovrebbero sentirsi offesi da “simboli” e “tradizioni” di una fede – quella cristiana – costitutiva di una civiltà disposta ad accoglierli e a strapparli dalla morte e dalla fame? Perché mai tutti costoro non dovrebbero guardare con rispetto a “simboli” e “tradizioni” di una civiltà – la più inclusiva – che affonda le proprie radici nel messaggio di Colui che è morto in croce?

Rispettare gli “altri” non significa né equivale a cancellare se stessi; e una società non è inclusiva di altre tradizioni e di culture altre solo a patto di escludere se stessa. Ma questo, purtroppo, sembrano aver pensato quei burocrati di Bruxelles che, quali burbere maestrine con la matita rossa, hanno preteso – magari con le migliori intenzioni – di insegnare alle mai cresciute popolazioni europee a non dire “parolacce”.

L’Europa – e più ampiamente l’Occidente – non è il Continente più inclusivo, più tollerante e maggiormente rispettoso dei diritti individuali nonostante che sia cristiano – lo è proprio perché cristiano, pur nei non negabili errori della cristianità.

Per concludere, un ammonimento di Antonio Rosmini: «Chi non è padrone di sé, è facilmente occupabile». E una cartolina a Bruxelles con un pensiero di Goethe: «Nulla è più funesto dell’ignoranza attiva!».

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One Response to DARIO ANTISERI: «Un’Europa scristianizzata è ancora Europa?»

  1. RAFFAELE DE MUCCI ha detto:

    Grazie al Maestro Antiseri per aver rappresentato mirabilmente – e con la consueta saggezza – tutto lo sconcerto e il disappunto che molti di noi, anche non cristiani, abbiamo provato di fronte all’ennesima dimostrazione di insensatezza da parte degli “attivi ignoranti” di Bruxelles

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