Lacrime di coccodrillo

di 17 Agosto 2021

Kabul è caduta. Conseguenza del ritiro, senza se e senza ma, americano che suscita la riprovazione di chi si prefigura le nefandezze dei talibani, ritenute ineluttabili. Lacrime di coccodrillo di quanti sono rimasti per anni sulla riva a guardare l’ennesima impresa di Sisifo americana.

Ancora una volta, come in Vietnam, poi in Irak, mentre l’America dovrà leccarsi le ferite, i suoi detrattori cantano vittoria. La ‘guerra al terrorismo’ lanciata da Bush figlio è giunta all’ultimo atto senza aver debellato l’idra. Saranno quindi gli altri a doversi dar da fare per affrontarne le conseguenze.

L’incerto futuro di quella nazione ripropone tutte le questioni che hanno caratterizzato la vita internazionale dopo la caduta del Muro: dagli ‘Stati falliti’ agli interventi ‘umanitari’ per rimediare alle loro conseguenze; dalle ‘gravi e sistematiche” violazioni dei diritti umani al terrorismo rivolto a minare le fondamenta della vita internazionale. 

Per contenere i rischi di destabilizzazione dell’intera regione e, quel che è peggio, la rinascita del terrorismo internazionale, non era più l’America, né la coalizione messa in piedi dalla NATO che potevano provvedervi in solitudine. Lasciare l’Afghanistan a sé stesso non è un’opzione, per nessuno. Ma occuparsene rimarrà un problema.

Il ritrarsi dell’America ha di riflesso il merito di portare allo scoperto i rapporti di forza esistenti nella Valle dell’Indo, che da due secoli rappresenta la cerniera del ‘grande gioco’ sub-regionale. La Russia esita, memore di come l’Unione Sovietica vi si sia rotta l’osso del collo. Mentre la Cina ha già dato segni di volerne approfittare.

Tutto da dimostrare rimane che possano emergerne delle inedite coalizioni. L’ipotizzata estensione all’Afghanistan del rapporto speciale di Pechino con Islamabad dovrebbe sospingere l’India a trovare una contro-assicurazione nella nuova strategia per l’Indo-Pacifico in gestazione a Washington. E l’Iran dovrà preoccuparsi del secondo fronte che si apre alle sue spalle. Imprevedibili rimarranno le ripercussioni nello Xinjiang musulmano cinese e nell’Asia Centrale, percorsa dalla ‘nuova via della seta’. 

Si accusa l’America di aver operato senza una visione strategica. Trascurando che il suo scopo, in Afghanistan come in Irak, era anche quello di sollecitare un più esteso coinvolgimento internazionale, quanto meno dei paesi limitrofi a quel secolare crocevia di imperi.

Ancora una volta, si dimostra che la terapia non può consistere che nel convergente concorso dell’intera comunità internazionale, ad opera delle Nazioni Unite. Nella necessaria comunità d’intenti fra i Membri Permanenti del Consiglio di Sicurezza. Menomata dal mancato contributo di Pechino e Mosca, che continuano a ritenere di poter trarre vantaggio dalle situazioni di disordine.

Dall’asserita perdita di credibilità dell’America traspare piuttosto la mancata assunzione di responsabilità delle altre aspiranti ‘grandi potenze’, europee e asiatiche.

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