Gli avvenimenti internazionali si accumulano, disordinatamente, apparentemente fuori controllo, impedendone la valutazione d’assieme. Gli sviluppi nel nostro immediato vicinato rimangono in sospeso, oscurati da quel che accade nei lontani Cina e Afghanistan. Senza che una qualche ‘tregua olimpica’ sia intervenuta a placare gli animi, contribuendo invece semmai a distrarre la generale attenzione.
Ai negoziati sulla ripresa dell’accordo nucleare iraniano, così come a quelli sulla ricomposizione della Libia, rimane affidato il compito di fornirne i parametri di riferimento essenziali. Nell’attesa:
– poco si sa della situazione in Israele, dove un governo ‘arcobaleno’, comprendente i cittadini arabi, potrebbe schiudere nuove prospettive regionali, nella scia degli ‘accordi di Abramo’ che, allentando le preoccupazioni di sicurezza nazionale, potranno forse consentire una più accurata definizione dell’identità nazionale. (Nemmeno Mosè entrò nella terra promessa, ha osservato qualcuno, ma indicò la strada da percorrere);
– l’elevato tasso di astensione registrato nelle recenti consultazioni elettorali, in Iran e Algeria, ha confermato la disaffezione di popolazioni dall’età media inferiore ai trent’anni, animatesi vanamente nelle ‘primavere’ di un decennio fa.
– in Tunisia, una grave crisi costituzionale ha appena turbato le speranze democratiche che nel 2015 le avevano valso il Nobel per la Pace. (Nemmeno l’insperato successo di un giovane nuotatore tunisino alle Olimpiadi ha avuto l’effetto suadente che ebbe la vittoria di Bartali al Tour);
– l’Algeria continua a galleggiare sulle sue ingenti riserve petrolifere ma, priva anch’essa di una specifica identità nazionale, tarda ad individuare una precisa strada da imboccare;
– l’Iran, pur rimanendo ostaggio del radicalismo dei ‘pasdaran’, deve vedersela con la riattivazione dell’accordo nucleare. Che il neo-eletto Presidente Raisi, giudice intransigente manovrato dalla Guida Suprema Khamenei, potrebbe persino paradossalmente meglio assicurare;
– l’ennesima riunione multilaterale svoltasi a Berlino sulla questione libica ha ribadito i criteri da osservare per le più volte rinviate elezioni di fine d’anno che, in assenza di un più generale, coordinato concorso internazionale, altro non possono essere se non frasi al vento del deserto
E’ nel contesto allargato dell’insieme delle questioni mediterranee, con la tessitura di più costruttivi rapporti trasversali, che le reali intenzioni dei tanti protagonisti e antagonisti nel mare mosso mediterraneo vanno esposte e soppesate. In Medioriente, il ‘Quartetto’ fra Nazioni Unite, Unione europea, Stati Uniti e Russia non dà più da tempo notizie di sé. Il che non infonde coraggio ai già scarsamente incisivi Lega Araba e Unione Africana. Lasciando allo scoperto un Occidente esausto.
Va peraltro registrato come, in tutte le tappe del suo periplo europeo, il nuovo Presidente americano si sia astenuto dal pronunciarsi sulla situazione mediorientale, ma abbia spesso menzionato la necessità di risolvere quella libica.
Difficile, specie per un paese come il nostro, raccapezzarsi. Distratti come siamo da una perenne campagna elettorale, nonostante le proclamate migliori intenzioni, ci limitiamo ad un piccolo cabotaggio, sotto costa, invece di affrontare il mare aperto che ci circonda, nel quale la navigazione rimane, per tutti, alquanto precaria.