Sarà il Covid, ma un sentimento di rassegnazione si va diffondendo per il mondo. Un fatalismo che corrisponde forse all’indole prevalente in Oriente. Che mortifica invece un Occidente pervaso per secoli dalla presunzione di poter migliorare la condizione umana.
Sorprende che persino un nostro ex Ambasciatore alla NATO e poi a Mosca continui a deprecare quanto la diplomazia ha compiuto dalla caduta del Muro, rinnegando il significato della propria esperienza professionale. Arrivando a sostenere che l’Unione europea dovrebbe seguire l’esempio della Gran Bretagna, nel dissociarsi, lei, dai paesi liberatisi dal dominio sovietico.
“Aprendo le porte – dice – a Paesi che non avevano le stesse esperienze: felici di ritrovare la loro sovranità, furono accolti in un’istituzione nata per perderla. È un malinteso che non può giovare né agli uni né agli altri e che bisognerebbe eliminare con un divorzio”. C’è da trasecolare!
Come se Spinelli, Schuman, Adenauer, De Gasperi avessero concepito un club esclusivo, un blocco da contrapporre al resto d’Europa, abbandonato alle grinfie di Stalin. Come se l’accoglienza non fosse nel DNA del progetto integrativo. E’ di coerenza dell’insieme, non di omogeneità, che si deve trattare. Di geometrie variabili, semmai, non in una suddivisione da un estremo all’altro del continente. Dal Baltico alla Turchia.
Una Turchia, membro della NATO, del Consiglio d’Europa, oltre che candidata all’ammissione nell’Unione, che l’Europa non può abbandonare alle sue fantasie di diventare, invece che ponte, il perno di nuovi equilibri mediterranei e mediorientali. Né rassegnarsi alle prevaricazioni dell’altro necessario interlocutore europeo, la Russia, esortandola invece ad un ‘dialogo esigente’ su temi specifici.
Bruxelles afferma di voler “proteggere, ispirare e sostenere la democrazia in tutto il mondo [mediante] un’agenda geopolitica”, che sia espressione della ‘forza gentile’ (‘soft power’) che, pur faticando ad imporsi, rimane il punto di riferimento essenziale in un mondo che pare invece aver perso la bussola.
A chi, come Alain Minc, sostiene rassegnato trattasi di una mera “organizzazione di interesse generale, sostituto di Stati sovrani stanchi”, Angelo Panebianco risponde che, “all’alba di un nuovo mondo, soltanto il mondo occidentale e soprattutto l’Europa potranno preservare la società aperta e rilanciare un ordine internazionale legittimo”. Purché ne emerga la necessaria aggregazione, tanto all’interno quanto dall’esterno, delle sue strutture istituzionali.
Un compito al quale l’Italia, meglio di altri, può contribuire. Andrea Bonanni, storico corrispondente da Bruxelles, dice: “Dalla nave europea non si può scendere: si può sedere sul ponte di comando, oppure fare zavorra… Salita a bordo, l’Italia non ha capito quale fosse la direzione del viaggio”.
Non di divorzi si deve quindi astrattamente discettare, né di un matrimonio indissolubile, bensì della convivenza in una medesima antica famiglia, da ricostruire in tutte le sue diverse, non inconciliabili, componenti.