Sgarbi diplomatici

di 15 Aprile 2021

L’arroganza degli autocrati è ormai sfacciatamente allo scoperto, ostentata nei confronti dei loro stessi ospiti. Ad Ankara e a Mosca, è saltato persino il protocollo diplomatico.

Costringendo l’Italia ad abbandonare la sua congenita ‘equidistanza’ nella congerie di questioni internazionali. E a prendere risolutamente posizione, in difesa dei capisaldi esterni dai quali più di altri dipende.

La ferma reazione italiana allo spionaggio russo, la laconica definizione del regime turco, l’inoltrarci con decisione nel labirinto libico, hanno rappresentato le più evidenti dimostrazioni di un risveglio della politica estera italiana. Che non può più concedersi il lusso della comoda navigazione post-bellica nel convoglio euro-atlantico. 

Sono infatti chiaramente in corso le grandi manovre di una nuova ‘guerra fredda’ che, per quanto diversa, ripropone la necessità, per l’Europa quanto per i suoi singoli Stati, di disporre della ritrovata ‘spalla’ americana. Anche se non più di aperto confronto militare si dovrebbe presumibilmente trattare, ma pur sempre di esplicite intimidazioni ed infiltrazioni, politiche ed economiche, parimenti lesive delle nostre esigenze di sicurezza.

La stessa diplomazia ne subisce i contraccolpi, impedita com’è dalla sua funzione di scovare i propositi sottostanti a comportamenti diventati palesemente antagonistici, oltre che contraddittori. Ne emergono pertanto gli aspetti meno concilianti: dall’irata convocazione degli Ambasciatori all’espulsione di diplomatici rei di aver assistito a manifestazioni di protesta interne. (Interessante è peraltro notare come la Russia non abbia invece reagito all’analoga iniziativa italiana per le ben più gravi accuse di spionaggio). 

Non possono quindi sorprendere oltremisura i passi falsi della diplomazia dell’Unione europea, da quelli di Borrell a Mosca a quelli di Michel ad Ankara. Rappresentanti di un attore internazionale ‘sui generis’, dalla configurazione plurima, privo di quella struttura verticistica che contraddistingue invece i suoi interlocutori. Non necessariamente vaso di coccio, quanto intrinseca espressione di quella diversa impostazione dei rapporti internazionali che tarda, appunto, ad affermarsi.

Il confronto odierno, più che militare, è funzionale: fra l’efficienza delle democrazie aperte, fertili ma intrinsecamente vulnerabili, e quella monolitica, sul piano interno ed estero, dei regimi autoritari oggi al proscenio. Un’antica radicale distinzione, che la globalizzazione ha acuito invece di dissipare. Mentre l’economia e la finanza rimangono l’estrema misura della politica.

Quanto mai appropriato è pertanto che, nell’attuale momento internazionale, l’Italia disponga di un capo del governo che in quegli ambienti si è fatto le ossa. E che non lesina le parole, prescindendo anche lui dalla prassi diplomatica tradizionale.

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