Dopo il devastante quadriennio trumpiano, si gioca ormai a carte scoperte. Non soltanto in Medioriente ed Estremo Oriente, ma anche nei rapporti transatlantici. Il battibecco nella prima presa di contatto fra esponenti americani e cinesi in Alaska, le dichiarazioni di Putin ai rappresentanti delle imprese straniere operanti in Russia, hanno scansato ogni elegante formula diplomatica.
“Alle nazioni asiatiche – ha precisato l’organo del Partito comunista cinese – ricordiamo che la Cina è un vicino inamovibile, mentre gli Stati Uniti sono geograficamente estranei in questa parte del mondo” (come se Anchorage, San Francisco, Los Angeles e Honolulu non fossero immerse nel medesimo Oceano Pacifico). Agli ospiti stranieri, dal canto suo, Putin non ha nascosto che intende stabilire rapporti bilaterali con ognuno dei suoi interlocutori europei, definendo Bruxelles ‘partner inaffidabile’.
Prese di posizione di sfida, arroganti, intimidatorie. Provocazioni alle quali tanto Washington quanto Bruxelles hanno per ora preferito non rispondere per le rime. Significativo è peraltro come a Biden, nella sua prima conferenza alla stampa, sulla Russia nulla è stato chiesto, e nulla ha detto. Il che conferma quanto la Cina domini ormai l’intera agenda internazionale.
Con Pechino, ha detto Biden, la competizione riguarda il confronto fra democrazia e autoritarismo, da affrontare senza dichiarazioni magniloquenti, quanto piuttosto con il concorso di alleati e partner da coinvolgere concretamente caso per caso. Un percorso che Stati Uniti ed Europa devono quindi decidersi a percorrere assieme, in una calibrata ripartizione delle rispettive responsabilità geo-strategiche. Dal Mediterraneo all’Indo-Pacifico. In un’aggiornata articolazione dell’alleanza atlantica che, da prevalentemente militare, deve tornare a farsi politica.
Alla NATO, il Segretario di Stato Blinken si è appunto presentato a compimento del suo periplo in Estremo Oriente. Della sua conversazione telefonica di due ore con Xi, Biden ha detto di avergli ricordato le regole di comportamento internazionale, a Hong Kong, Taiwan, nel Mar Cinese meridionale e della minoranza uigura. Unico argomento, quest’ultimo, rispetto al quale l’UE ha finora ritenuto di potersi esprimere, imponendo sanzioni. Le priorità e la tempestività delle reazioni occidentali andranno opportunamente distribuite fra la fermezza americana e la disponibilità europea. Contemperare in altre parole le occasioni economiche offertele da Pechino con quelle di sicurezza globale garantite da Washington.
Nelle attuali circostanze internazionali, chi continua a dubitare dell’utilità dell’Alleanza atlantica e dell’Unione europea ha di che ricredersi. In un mondo irrimediabilmente globalizzato, l’Europa, come Cristoforo Colombo, deve nuovamente raggiungere l’Oriente attraverso l’Occidente; alla riscoperta dell’America. Rimasta troppo a lungo ai margini dell’agone internazionale, dovrà decidersi a proporsi ben oltre il proprio immediato ambito geo-strategico, per stemperare il confronto fra Cina e Stati Uniti; persuadendo Pechino ad assumersi le responsabilità inerenti al suo status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza.
Mosca e Pechino hanno appena proposto, ambiguamente, un Vertice fra i suoi ‘primi inter pares’. Quella è appunto la sede nella quale andare a vedere le rispettive carte, ad evitare il consolidarsi di uno sterile confronto fra i rispettivi monologhi. “Il mondo non si organizza da sé” ha detto il nuovo Segretario di Stato americano. Se non si vuole che ognuno vada per la propria strada, a scapito degli altri, è nell’ONU che bisogna tornare tutti a riconoscerci.
In aggiunta agli imminenti appuntamenti della Conferenza sul clima e del G20.