Il ‘fattore esterno’ di nome Draghi dovrà quadrare il cerchio di una politica italiana, interna ed estera, sempre contraddittoria. ‘Mettere in sicurezza’, è stato infatti detto, uno stato fragilizzato, che l’emergenza sanitaria, con le sue gravi conseguenze socio-economiche, dovrebbe aver risvegliato. Un’impresa dalla duplice facciata, palese nella stessa composizione della nuova compagine governativa, “di salvezza nazionale”.
Da un lato, verso l’esterno, affiancato da personalità ‘tecniche’ di sua completa fiducia, il nuovo Premier farà valere le proprie credenziali, autorevoli e collaudate, a garanzia dell’ingente finanziamento del Recovery Fund. Dall’altro, all’interno, dovrà conseguentemente riuscire ad estrarre un comune denominatore di non sola facciata da formazioni ‘politiche’ esauste o improvvisate. Nella definizione, a lungo rimandata, dell’interesse nazionale in un mondo in radicale trasformazione.
La formazione del nuovo governo ha accantonato i compromessi nei quali la politica italiana si è sempre impantanata. A tal fine, Draghi si è avvalso delle modalità del negoziato diplomatico, che ha adottato con successo nei suoi precedenti incarichi internazionali. Consapevole che l’accordo fra parti antagoniste, radicalmente distinte o disfunzionali, non può essere raggiunto che tramite un mediatore che faccia la spola (shuttle-diplomacy), nel raccogliere e comporre lui stesso le rispettive pretese. Il cui buon esito consisterà in una soluzione parimenti insoddisfacente per le parti.
Oculati in tal senso sono stati gli incarichi attribuiti in settori di preminente rilievo interno, quali l’Istruzione, la Giustizia, le Infrastrutture, bisognosi di urgenti radicali riforme. Immutata invece, all’insegna della continuità, la direzione dei Dicasteri dell’Interno, della Difesa e degli Affari Esteri, dall’esposizione esterna non meno rilevante di quella economico-finanziaria. Nei cui meandri, si direbbe, il nostro ‘deus ex machina’ non si è però voluto avventurare, per assicurarsi l’indispensabile ampio appoggio politico interno, a sostegno del suo operato economico esterno.
Incomprensibile, unico macroscopico neo, è la conferma del responsabile del Ministero degli Esteri, unico capopartito, sia pur di fatto, ad essere stato incluso nell’eterogenea compagine governativa. Ennesima indicazione della funzione di zona di parcheggio di politici ingombranti che la politica nazionale ha ricorrentemente riservato alla Farnesina (basta scorrere l’elenco dei predecessori dell’attuale titolare). C’era una volta, ai primordi dell’Unità nazionale e nella ricostruzione al termine del Secondo conflitto mondiale, in cui gli affari esteri erano autogestiti dai suoi funzionari, i terminali più sensibili alle sollecitazioni dall’estero. Determinanti nella stessa politica interna postbellica si rivelarono gli epici confronti fra De Gasperi e Brosio da Parigi, Tarchiani da Washington.
Come se le questioni, diventate anch’esse, al pari di quelle economiche, eminentemente ‘tecniche’, della Libia, della Russia, dei Balcani, del Medioriente, di nostro più rilevante interesse, potessero continuare ad essere affidate ad altri. Eppure il Presidente incaricato aveva ripetutamente indicato l’esigenza di ristabilire anche i rapporti politici intra-europei e transatlantici, dopo le sbandate degli ultimi anni. Ai quali non può provvedere lui stesso, accorpandoli alle componenti economiche della nostra esposizione all’estero.
La rete diplomatica periferica continuerà pertanto a rimanere scarsamente sollecitata, oltre che priva di specifiche istruzioni, incapace pertanto di esprimere nostri utili contributi propositivi. Proprio nel momento in cui ci spetta la Presidenza del G20 e la mezza Presidenza della Conferenza sul clima. Una cosa alla volta, si dirà: mettiamo in ordine il nostro abbigliamento per poterci poi presentare più degnamente in società. Ma il tempo stringe, la situazione strategica internazionale va evolvendo rapidamente, particolarmente nel nostro immediato vicinato. Soprattutto in politica estera, l’abito si acquista cammin facendo, non semplicemente pretendendo di sedere al tavolo che altri hanno apparecchiato.
La proiezione di una più chiara identità nazionale non può attendere il pur necessario prosciugamento del pantano nazionale, sotto la sorveglianza e con la garanzia esterna di un mediatore impegnato a districare, piuttosto che a tagliare, i nodi gordiani delle nostre eterne indecisioni incrociate.
Un nocchiero che ha fissato l’Europa come stella polare (“la soluzione dei nostri problemi è in Europa”) e il multilateralismo contro ogni tentazione sovranista.