Domani il Presidente della Camera Roberto Fico, incaricato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella per verificare le condizioni di una rinnovata maggioranza parlamentare, riferirà circa il lavoro di questi giorni e capiremo se il ConteTer è realmente una possibilità o meno. Al di là della discussione su alcuni ministri e ministeri, i problemi dell’economia sembrano dirimenti per sciogliere l’ingarbugliata matassa. Anzi, non sono soltanto prioritari, ma sono ciò che ha portato a questa crisi – la cui gestione ancora una volta ci fa rimpiangere la Prima Repubblica – e che ne costituirà la soluzione.
Consideriamo intanto cosa è successo la scorsa settimana a Davos, dove annualmente si svolge il World Economic Forum: Angela Merkel ha preso una posizione piuttosto anomala e netta nei confronti di Xi Jinping: “la Cina non è trasparente sul covid e sulla gestione dell’emergenza sanitaria” ha detto la cancelliera tedesca. Se consideriamo che la Germania è il più importante partner commerciale della Cina, va da sé che queste non sono parole, per dir così, ordinarie.
Nello stesso tempo, il neo presidente americano Joe Biden ha firmato un pacchetto di 17 ordini esecutivi che segnano un cambio di linea rispetto all’amministrazione Trump. In particolare, il piano del presidente americano prevede 2 mila miliardi per affrontare la crisi climatica e creare nuovo lavoro; inoltre, lo stesso pacchetto porterà al blocco delle nuove concessioni per estrazione di combustibili fossili. In una battuta – come ho previsto nel mio Ripartenza verde – il Green New Deal non è più soltanto europeo.
Sempre a Davos, Xi Jinping è stato molto duro contro gli USA e contro gli “isolazionismi arroganti”, parole sue. E sappiamo bene che, nei confronti della Cina, Biden non può che andare in continuità con quanto fatto da Trump, salvo nei toni. Ecco perché le dichiarazioni di Merkel sono significative, perché danno evidenza di quel riavvicinamento tra Europa e USA che Biden ha annunciato non appena eletto, riportando gli USA dentro gli accordi di Parigi sul clima.
Tutto questo è premessa al nuovo multilateralismo che sta nascendo, in cui la questione climatica e gli investimenti connessi sono centrali. Ora, il Recovery Fund o Next Generation EU che dir si voglia, sono la grande scommessa europea di rilancio delle filiere produttive in un’ottica di sostenibilità ambientale e sono il pretesto – che non è solo un pretesto – che ha creato questa crisi di governo.
Vi è un intento diffuso, che tocca tutti gli ambienti politici per un loro utile riposizionamento (persino M5s), di rinnovare il governo e che trova sponde in Europa e anche negli USA, da un lato in ragione del fatto che dall’altra parte dell’Oceano inizia un nuovo corso politico e non dispiacerebbe vedere un governo italiano più orientato a ovest e meno verso il Sol Levante. Non è un caso che Giuseppe Conte, nel suo intervento alla Camera, abbia definito gli USA “il partner più importante”. Dall’altro lato, l’Europa ci ha messo a disposizione 209 miliardi di euro: è chiaro che a Bruxelles, e a Berlino soprattutto, vi è interesse che il Recovery Plan in Italia funzioni, per più ragioni. Non pare che in Europa siano stati contenti dopo aver visionato la bozza che il governo italiano ha inviato, anche se il piano definitivo è atteso per la fine di aprile. Da qui le preoccupazioni europee, in particolare tedesche. E il malcontento dei Paesi nordici, che del tutto d’accordo con questo programma non sono mai stati.
L’Italia è paese strategico in questa ricostruzione non solo perché nel nostro paese gli investimenti in particolare franco-tedeschi sono tanti ma anche per altre ragioni: in primis, il commissario Gentiloni ha sempre detto che l’Italia è la vera scommessa del Next Generation EU, anche perché siamo il paese che più beneficia dei fondi europei; in secondo luogo, la Germania ha rinnegato la sua posizione sull’austerity accogliendo le richieste dei Paesi dell’area mediterranea, Francia e Italia in particolare: al di là che il Recovery Fund interessava anche a loro – per rilanciare la loro industria – per i tedeschi sarebbe uno smacco se in Italia non desse frutto.
Consideriamo inoltre che l’industria italiana è fortemente integrata con quella tedesca e, anche per questo, a Berlino auspicano che noi sappiamo approfittare dei fondi. Ciò premesso, questa prima bozza era colpevolmente incompleta, di idee e di analisi. Per fare qualche esempio, siamo un Paese che per caratteristiche può contribuire in modo importante alla produzione dei vaccini: le previsioni del governo prevedono, invece, fondi solo per acquisti e per la ricerca; inoltre, tutti i ragionamenti abbozzati sono manchevoli rispetto ai ritorni occupazionali ad esempio.
È un piano debole, risultato di tre mesi di forte immobilismo. Tuttavia, è questa una fase troppo importante per essere azzoppata dall’immobilismo politico. Ecco perché in particolare da Bruxelles sono molto attenti e vigili sulla nostra crisi, cosa che si evince dall’anomalo attivismo di Paolo Gentiloni. “Il Recovery Fund per l’Italia è l’occasione della vita” ha detto in queste ore il Commissario europeo. Molto vero.
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