Riaprire le scuole. Il modello Toscana e i comportamenti di ciascuno

di 19 Gennaio 2021

Quando si ha a che fare con quell’ospite indesiderato denominato coronavirus le sicurezze più ferme, forse le sole sicurezze, sono quelle che fanno aumentare l’insicurezza. Prima (e più preoccupante) tra tutte: il rischio zero non esiste. Per quante cautele e protocolli anti-covid si possano mettere in campo, con tutto il corredo di distanziamenti, sanificazioni, controlli e indicazioni del CTS  e dell’ISS  e di tutti i ministeri competenti, nulla e nessuno potrà garantire a nessun altro che riuscirà a evitare il contagio. E questo non perché i protocolli siano fallaci (pur sapendo che talvolta possa accadere anche questo) o perché epidemiologi, virologi e immunologi costituiscano una specie di esercito di abusivi insediati nelle stanze del sapere scientifico, ma quasi sempre per almeno una ragione più semplice. I protocolli e le procedure li applicano gli uomini e neppure il protocollo più ferreo e meglio strutturato sfugge al fattore umano, è esente dalla “macchia” dell’errore (volontario o involontario) dovuto all’uomo. 

Circostanza, questa, che implica un’ulteriore considerazione, purtroppo non sufficientemente ammessa o addirittura negata (una forma di negazionismo particolarmente insidiosa) da parte di chi presuppone un edenico stato senza colpa della società civile e del “Paese reale”: i comportamenti individuali non sono variabili indipendenti rispetto al potenziale rischio di contagio e, quindi, sembra persino ovvio osservarlo, indossare o non indossare la mascherina, igienizzare o non igienizzare le mani, rispettare o non rispettare il distanziamento interpersonale, non si pongono e non possono porsi come atteggiamenti equivalenti.

Da qui una conseguenza anche questa ovvia (e però anch’essa, nei fatti, non sempre accolta nella sua portata): la pretesa del rischio zero (quante volte implicita in molte rivendicazioni consegnate a giornali e televisioni) dovrebbe essere trasformata nella legittima richiesta del rischio accettabile e della riduzione massima possibile del rischio, ben sapendo che il comportamento di ciascuno costituisce un elemento decisivo per la sua riduzione. 

E allora riaprire le scuole, come in tante parti d’Italia si è già fatto e si sta facendo, implica una necessaria sintesi tra due “virtù”, quelle “private” (afferenti alla sfera di responsabilità di ciascuno di cui si è appena detto) e quelle “pubbliche”, che hanno a che fare con gli strumenti, le regole e le procedure che i “decisori” predispongono.

Se tanta attenzione ha suscitato sulla stampa il “modello Toscano”, peraltro abbastanza simile in alcuni suoi tratti essenziali a una proposta formulata dai Dirigenti scolastici della provincia di Vibo Valentia ripresa dai giornali locali, probabilmente è perché vengono riconosciute le sue qualità “sistemiche” nell’affrontare il difficile impegno del contenimento del rischio da contagio dovuto al virus Sars-Cov 2: risorse economiche notevoli per l’acquisto di ulteriori mezzi di trasporto (329 in più) da impiegare per gli spostamenti degli studenti e per diminuire l’affollamento delle corse, tutor alle fermate degli autobus (volontari della protezione civile e altri) per regolare gli afflussi e per controllare i coefficienti di riempimento, ulteriori tutor davanti alle scuole per evitare gli assembramenti, monitoraggi periodici della popolazione studentesca e del personale scolastico tramite tamponi rapidi. Ecco, se c’è qualcosa che va in direzione del rischio accettabile, se paragonato all’obiettivo fondamentale di riportare gli studenti nelle aule, è una combinazione di elementi virtuosi di questo tipo, che risulterebbe vanificata se a essa dovesse corrispondere il “liberi tutti” dei comportamenti individuali. 

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