La storia si evolve e mutano le situazioni ecclesiali, sociali, culturali. Parte da questa premessa il papa per spiegare i motivi che lo hanno indotto a emanare, lo scorso 10 gennaio, il motu proprio Spiritus Domini che ufficializza ciò che di fatto già avviene nella Chiesa da decenni: la collaborazione delle donne alla liturgia.
D’ora in poi le donne potranno essere a tutti gli effetti “lettori” e “accoliti”, i ministeri di chi affianca il sacerdote, anche all’altare, aiutandolo nelle celebrazioni. Da dopo il Concilio vediamo le donne all’ambone proclamare, durante la liturgia della Parola, i passi della Sacra Scrittura che non siano tratti dal Vangelo. Così come siamo abituati da molto tempo alle ministre dell’eucarestia che distribuiscono la comunione ai fedeli, o alle ragazzine chierichette che servono messa.
Cosa cambia, allora? Finora (almeno sulla carta) serviva l’autorizzazione del vescovo diocesano, adesso tutto questo è norma canonica universale.
Altra domanda: è un passo avanti effettivo delle donne nella Chiesa? Sì, ma non è la premessa di passi ulteriori. Il papa nella lettera che accompagna il motu proprio, indirizzata al cardinale Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ribadisce che non si potranno ordinare donne prete e distingue lettorato e accolitato dai “ministeri ordinati” (episcopato, presbiterato e diaconato).
Ciò fa dire ai più pessimisti (come Lucetta Scaraffia, già responsabile dell’inserto de L’Osservatore Romano “Donne chiesa mondo”) che si chiude la strada anche al diaconato femminile, nonostante le molte attese nella Chiesa. Sarà così? Per adesso è ancora al lavoro una seconda commissione di esperti, formata da sette uomini e cinque donne e presieduta dall’arcivescovo de L’Aquila, il cardinale Petrocchi. La parola definitiva spetterà, ovviamente, al papa.
La prima commissione sul diaconato femminile era stata istituita da Francesco nel 2016, ma non ha portato a conclusioni univoche. Almeno, da quanto si può capire, visto che i lavori erano riservati e nulla di ufficiale è stato fatto trapelare. Ciò che si ricava, rileggendo i suoi vari interventi, è che Bergoglio sul ruolo delle donne nella Chiesa non è così aperturista come alcuni lo dipingono. Nel 2013, quando gli chiesero se vedremo mai donne cardinale rispose: «Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”».
L’interrogativo sui ruoli, e i modi di svolgerli, è più che legittimo. Di sicuro oltre al clericalismo di quei laici e laiche o di quelle religiose che vorrebbero clericalizzarsi per contare di più, c’è un clericalismo maschilista che considera l’allargamento dei ministeri alle donne una sottrazione di potere agli uomini. Questa impostazione mentale, fatalmente, è appiccicata addosso alla gerarchia, a tutti i livelli. Nell’udienza alle superiore generali, nel 2016, il papa fece una battuta in qualche modo rivelatrice: «Le “diaconesse permanenti” nella vita della Chiesa sono le suocere!». Circa un mese e mezzo dopo una giornalista francese, durante la conferenza stampa di Francesco nel volo di ritorno dall’Armenia, chiese a che punto stavano le cose con la commissione sul diaconato, considerato – aggiunse – che «a volte una commissione serve per dimenticarsi dei problemi». Francesco stette al gioco: «C’era un presidente dell’Argentina» raccontò «che consigliava ai presidenti degli altri Paesi: “Quando vuoi che una cosa non si risolva, fai una commissione!”».
Dunque, accontentiamoci. Sperando che il prossimo documento papale non si limiti a ratificare lo status quo ma apra alle donne nuove strade di impegno ecclesiale.