Tanto tuonò, che piovve! L’assalto al tempio della democrazia americana ha costituito l’estrema, indiscutibile, testimonianza degli strappi provocati da un Presidente dissennato alla coesione interna, oltre che alla politica estera, della nazione.
Il fatto di per sé non va considerato irrimediabile. Non di un’insurrezione si può parlare, bensì di un episodio estemporaneo istigato da Trump e facilitato dall’inverosimile imprevidenza delle forze dell’ordine. Un avvenimento che, per quanto deplorevole, potrebbe persino rivelarsi catartico, nella misura in cui abbia palesato le conseguenze della polarizzazione in cui è finita la politica americana.
Un paese politicamente radicalizzato, spaccato a metà dovrà ora ricomporre i propri specifici connotati interni e internazionali, e riprendere coscienza della propria specifica identità. Ai massimi livelli del Partito Repubblicano è stata subito espressa la necessità di liberarsi dalla morsa populista in cui il ‘partito di Lincoln’ è impantanato da tempo, ben prima dell’avvento di Trump. Il Grand old party vi sarà se non altro costretto dall’aver perso anche la maggioranza al Senato.
Dopo decenni di sovraesposizione esterna, l’America si risveglia trasformata: demograficamente e socialmente più eterogenea; non più crogiuolo quanto giustapposizione e stratificazione delle sue sopravvenute diverse componenti economiche e sociali; che il politically correct non è riuscito ad amalgamare.
Una situazione che un demagogo ha sfruttato per interessi personali, arroccandosi in famiglia, indifferente all’esigenza di dotarsi di un programma coerente e di una squadra di governo stabile. Un vuoto programmatico interno e verso l’esterno, al quale il suo successore, politico di lungo corso, ha dichiarato di voler rimediare, ben oltre l’urgente esigenza di riformare le infrastrutture della nazione.
Un’America quindi necessariamente introversa, rivolta a rianimare quel dibattito pubblico interno che fa parte integrante della sua democrazia; e a ristabilire un’operante solidarietà con gli antichi e nuovi alleati e partner che il suo predecessore, invece di chiamare a raccolta, ha sistematicamente offeso e maltrattato.
In quella calibrata interazione fra politica interna e internazionale dalla quale, nel Ventunesimo secolo, nemmeno l’America può fare a meno. Ne riparleremo fra due settimane, quando la polvere si sarà posata.