Rifiutata da De Gaulle, entrata poi a malincuore in Europa, l’Inghilterra se ne è ora nuovamente distanziata. Nella presunzione di poter tornare a far meglio valere le sue ragioni nei grandi spazi dei suoi antichi collegamenti marittimi.
Nel 1935, Curzio Malaparte osservava: “Tutti insieme formano un immenso arcipelago sparso su tutti i mari del mondo. E’ questo, in fondo, l’origine del loro imperialismo; è nell’eccesso della loro insularità … E la loro politica nei riguardi dell’Europa è dominata dal fatto che essi possono a piacer loro muovere la loro isola come se fosse un battello, avvicinarsi e allontanarsi a piacere dalle rive dell’Europa”. Più laconico, J.K. Chesterton ammoniva che “l’inglese è troppo insulare per un’isola”.
Isolatasi a lungo dalle vicende continentali, vi si è lasciata ricorrentemente coinvolgere al solo scopo di mantenervi gli equilibri interni. Lo ha fatto nel 1815 al Congresso di Vienna, al termine delle guerre napoleoniche; in Crimea, nel 1855; sulla Somme nel 1916; sotto i bombardamenti della Luftwaffe nel 1940. Continuerà a farlo, si dovrebbe presumere, sempre dal difuori, nel suo stesso superiore interesse.
Tornando nel suo mare aperto, rischia tuttavia oggi di perdere la presa sugli altri componenti di un Regno che si vuole ‘unito’. Ma non tutto è ancora perduto. Nella misura in cui potrà ottenere l’operante solidarietà, politica oltre che economica, dei componenti del suo antico Commonwealth.
Sdrammatizzando, Sabino Cassese osserva che, se è stata per un quarto di secolo con un piede dentro (il mercato unico) e un piede fuori (l’Euro, Schengen) dall’Europa, d’ora in poi starà con un piede fuori e uno dentro (la politica estera e di sicurezza europea, nei confronti della Russia, della Cina, della NATO, della stessa America).
Membro del Consiglio di Sicurezza, ma dalla politica estera alquanto sbiaditasi nell’interminabile negoziato con Bruxelles, la Gran Bretagna dovrà infatti ora dedicarsi a recuperare credibilità e influenza, nel prodigarsi per la ricomposizione di una coalizione allargata alle nazioni che nell’internazionalismo liberale originario di quelle isole si riconoscono.
Non di un divorzio si dovrebbe quindi parlare, quanto piuttosto di un accordo fra congiunti separati in casa.