Nelle ultime ore, l’annuncio di un secondo vaccino – quello di Moderna dopo quello di Pfizer – ha spinto al rialzo le Borse europee, nella speranza che la fase più dura della pandemia possa finire presto. Mentre l’euro si mantiene stabile sul dollaro (cambio a 1,18) e lo spread BTP Bund è a 117 punti, ai minimi dal 2018, una importante suggestione circola tra gli ambienti finanziari e non solo. Da un webinar organizzato da J.P. Morgan – a cui hanno partecipato John Bilton, Head of Global Multi-Asset Strategy, Thushka Maharaj, Global Multi-Asset Strategy, Vincent Juvyns, Global Market Strategist, e Sorca Kelly-Scholte, Head of EMEA Pensions Solutions & Advisory – è emerso infatti che l’Europa potrebbe diventare protagonista del nuovo corso dell’economia globale nel quale a determinare gli esiti della crescita non sarà soltanto l’innovazione digitale ma, in particolare, la capacità delle filiere produttive di far fronte al climate change. È lo scenario delineato nel mio Ripartenza verde. Industria e globalizzazione ai tempi del covid pubblicato a luglio da Rubbettino.
L’Unione Europea ha fatto un grande sforzo politico-finanziario negli ultimi tre anni, proprio perché ha compreso il gap che la sua industria ha nei confronti di quella americana in particolare, ma anche di quella cinese, vera patria dell’innovazione digitale. Secondo il McKinsey Global Institute, infatti, l’85% degli investimenti in intelligenza artificiale è stato realizzato in aziende americane e cinesi. È ovvio che restare indietro sul piano dell’innovazione generi intoppi sul piano della competitività. E, non a caso, gli ultimi tre anni per l’Europa hanno significato crescita molto debole.
Da questo punto di vista, la pandemia ha costretto l’Unione a contenere i particolarismi che la animano e ad accelerare i lavori sul versante della politica economica e industriale. Ecco che, come abbiamo detto più volte, il piano Green New Dealè andato a sistema, dentro il più ampio Recovery Fund: è la grande occasione, anche per il nostro Paese, di rilanciare le filiere produttive, anche per far fronte al cambiamento climatico. Vi è un contrattempo dovuto ad alcune intemperanza dei Paesi di Visegrad – Ungheria e Polonia in particolare – che faticano ad accettare, sul piano dei diritti umani, alcune condizionalità del programma. Ma l’accordo raggiunto a luglio dal Consiglio europeo è irreversibile. E una parte consistente di questi fondi (35%) sarà per gli investimenti della green economy.
Dopo un decennio dominato dall’avanzamento tecnologico digitale e guidato dai colossi americani e dall’e-commerce, l’attenzione degli investitori si sposta ora sulla nuova frontiera green e sulla decarbonizzazione dell’economia. La crisi petrolifera di questa primavera del WTI è indicativa: a parte il fatto che da anni nel settore non si registrano più investimenti importanti, ma è evidente che da ora in poi le fonti alternative non saranno solo più attrattive per chi investe ma anche per chi consuma. La domanda sarà infatti orientata lì. È in questo senso che, secondo J.P. Morgan, l’Europa appare ben posizionata, soprattutto per la leadership politica che esercita in questo campo.
Entro il 2030, l’Europa punta a raggiungere il 30% di soddisfacimento del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. A oggi, le situazioni sono molteplici e differenti: dagli Stati virtuosi come la Svezia con il 53,8%, la Finlandia con il 38,7%, la Lettonia con il 37,2%, l’Austria con il 33,5%, a Stati molto meno competitivi come Lussemburgo (5,4%), Malta e Olanda (6%). In Italia più del 18% del consumo totale di energia del Paese proviene da rinnovabili. Anche per quanto concerne l’economia circolare, In Italia si osservano progressi tra i migliori a livello europeo (49,4% di rifiuti riciclati sul totale) che ci avvicinano agli obiettivi di quest’anno (50%). Oltre a ciò, è in costante diminuzione il consumo materiale interno per unità di PIL (meno 26% rispetto al 2010), cioè il consumo di risorse materiali effettuato in Italia.
È evidente che nella lotta al climate change il ruolo degli stati e della politica economica diventa fondamentale. Trump, da imprenditore, già è diffidente di questo ruolo della politica. Inoltre, nella sua idea di America First, restare agganciato al multilateralismo sul clima voleva per lui dire sostenere l’Europa nel suo ruolo propulsore ed egemone nel mondo nelle politiche ambientali. Ecco perché Trump ha portato gli USA fuori dagli accordi di Parigi. È noto invece che Biden ha in mente non solo interventi pubblici ma anche una politica in netta controtendenza con il recente corso USA di questi ultimi 4 anni. Si tratta di una posizione più in linea con le politiche dell’UE. Ecco perché la vittoria di Biden è stata accolta con favore dai leader europei. Certo non è condizione sufficiente per risolvere i problemi ambientali ma è condizione necessaria: è evidente che, senza gli USA, la lotta al climate changeè più difficile da vincere.
Per quanto riguarda l’Italia, siamo il Paese che beneficerà del Recovery Fund in maniera maggiore, in termini assoluti. Sapremo sfruttare l’occasione? L’Italia ha un’urgente esigenza di darsi una prospettiva di crescita reale che sappia rilanciare un Paese depresso. C’è di buono che il rilancio dell’industria tedesca è fattore molto importante per il nostro Paese che non solo è la seconda potenza manifatturiera d’Europa ma che è anche molto integrato proprio con la grande piattaforma teutonica.
È importante che venga rilanciato con decisione il piano industria 4.0 che negli anni 2016 e 2017 ha permesso all’Italia di superare la stessa Germania nei livelli di crescita della produzione industriale. I comparti su cui varrà la pena di scommettere sono quelli per cui il mondo riconosce i nostri prodotti come eccellenti: meccanica di precisione, tessile, pellami, chimico, abbigliamento, calzature, computer, prodotti di elettronica, ottica, apparecchiature elettriche, manifattura di base, prodotti in legno. Ma le vere sorprese arriveranno dai settori più vicini all’innovazione. L’auto elettrica sarà uno dei simboli del ciclo alle porte: qui si concentra infatti lo sforzo dell’Europa. E l’industria italiana potrebbe giovarsene.
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