Gramsci, citando Romain Rolland, ci esortava a condire il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. In quest’altro momento di profonda transizione delle questioni globali, dovremmo andare alla ricerca di avvenimenti che, sia pur sommersi da un’apparente anarchia, indicano delle linee di tendenza incoraggianti.
L’accordo imposto dalla Russia ad Armenia e Azerbaigian non dimostra, a quel che si dice, l’estromissione dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Stiamo semmai assistendo alla dimostrazione che l’Occidente, contrariamente a quanto sostenuto da Mosca, non intende (né può) interferire in una regione che il Cremlino ha dichiarato sua ‘zona di influenza privilegiata’. Continuando piuttosto, come ha fatto per anni il tripartito ‘gruppo di Minsk’ nell’ambito dell’OSCE, ad esortarla ad assumersi le responsabilità che le competono. Quelle di stabilizzazione dell’intero Caucaso meridionale, sinora deliberatamente evitate, in un ‘divide et impera’ che non appare più sostenibile
Alle quali Mosca appare ora costretta dall’ennesima prova di forza di una Turchia che si proietta assertivamente dalla Libia a Cipro, alla Siria, al Caucaso appunto. In palese competizione con una Russia animata dalle medesime intenzioni, ma che da qualche tempo si dimostra invece passiva, apparentemente disorientata.
Il che non può dirsi invece della Cina, alla quale è stato attribuito il merito di un accordo di libero scambio (‘Regional Comprehensive Economic Partnership’) che, assieme ai dieci paesi del Sud est asiatico associati nell’ASEAN, riunisce il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda. Un risultato che potrebbe al contrario interpretarsi come l’avvicinarsi di Pechino a quel ‘Trans-pacific Trade Partnership’ (TTP) proposto da Obama, rinnegato poi da Trump, che Biden dovrebbe ora rimettere in funzione.
Lo dimostrerebbe se non altro il fatto che comprende le nazioni del Pacifico legate strategicamente all’America (con l’astensione di un’India che rimane incerta sul suo futuro internazionale). Dubbio è inoltre che Pechino si sia decisa ad attenersi alle norme sul libero commercio disposte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, alla quale è stata faticosamente ammessa nel 2011 (assieme alla Russia), senza che ne abbia poi seguito le regole.
‘Missing in action’, assieme all’Africa e all’America Latina, è piuttosto ancora l’Europa. Che Macron esorta a decidersi a ‘rafforzare e strutturare un’Europa politica’, non soltanto -dice- alla riscoperta di una propria ‘autonomia strategica’, ma anche nel ‘creare le coalizioni per emarginare coloro che fanno azione di blocco”.
Sotto guida francese, ovviamente. E di chi altro, se non dell’unica nazione dell’Unione che si dimostra decisa a far da prua della nostra imbarcazione, se non altro in virtù del suo status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza? Ora che la Gran Bretagna vorrebbe invece prendere il largo.