Il furgone dell’Istituto di Anatomia di Zurigo, che trasporta la bara in acciaio inox contenente il corpo del Felice, ha da poco superato l’abitato di Dongio nel fondovalle, quando la Paolina molla il piatto e la spugnetta e si appoggia con entrambe le mani al lavabo e a denti stretti dice ci siamo, uuh sì che ci siamo.
Nella cucina del Felice regna il caos e nessuno la sente.
Il Kevin Mister Contadino Ticinese ha appena portato fuori tutte le bottiglie vuote e le ha messe in fila sul muretto. Ventidue, dice a voce alta per farsi sentire un po’ da tutti. Hei, ci siam scolati ventidue bottiglie di vino.
Il Barbuto Pep Maestro ha in una mano la palettina e nell’altra il secchiello di latta e svuota dalla cenere la Sarina, ormai spenta ma ancora calda. Io ne ho bevuti giusto due o tre bicchierini, dice.
La Vittorina sta passando lo straccio sul tavolo mentre il contrabbandiere Brenno scopa il pavimento senza una logica, gli occhi umidi e le imprecazioni che si fermano nella bocca chiusa su una sigaretta. L’Emilio Coniglio è seduto sulla panca di granito alla destra della porta. Allunga una mano e prende un caco e se lo mangia con cautela, senza sbrodolarsi come avevano fatto un po’ tutti durante la veglia del Felice.
I cani fanno dentro e fuori e i ragazzi parlano tra loro, tranne la Giulia che è immersa nell’heavy metal che spara fuori dagli auricolari. Il Floro se la vuole svignare e prende sottobraccio l’Evelina, la sorella del Felice. Dai che nem, su dai che è ora di metter là qualcosa per cena, le dice.
La Paolina muove un passo e si appoggia al tavolo. Ha una faccia di chi ha appena visto il diavolo. Uuuh, ci siamo ci siamo, dice col fiato corto.
La mano della Vittorina si ferma. Come pure la scopa del Brenno. Di colpo tutti si zittiscono e guardano tra le scarpe della Paolina l’acqua che si allarga sul pavimento della cucina del Felice.
Il Sosto, suo marito, deglutisce con fatica poi dice dai su, andiamo all’ospedale. Ma la Paolina ribatte che non so se ci arriviamo all’ospedale, lo sento già che esce, dice e poi si tiene di nuovo stretta e soffia un paio di volte. Lo sento già che esce, ripete con un filo di voce.
La maestra Sabina da una parte e la Margareta della pizzeria Da Beppe di Acquarossa dall’altra trasportano quasi di peso la Paolina al piano di sopra e l’adagiano sul letto rifatto per l’ospite misterioso.
Come durante la veglia del Felice, le donne sono di sopra nella stanza e gli uomini sono di sotto in cucina. Ma invece che recitare il rosario le une e bere vino gli altri, questa volta si coordinano per scaldare dell’acqua sulla Sarina e recuperare dalle altre baite asciugamani e lenzuola pulite e altre cose che potrebbero servire. Comandi e consigli e domande e risposte vanno e vengono dalle strette e ripide scale.
A un certo punto, la Candida, la barista del bar Gallo Cedrone, interviene e dice a voce alta di fare tutti un po’ citu, dice, che adesso ognuno sa cosa deve fare e non c’è mica più bisogno di far tutto ‘sto casino che siam mica al bar, dice. Che stiam facendo nascere un bebè e allora di stare tutti un po’ tranquilli che senò cosa dirà mai quando esce fuori, in che razza di mondo sono arrivato, dirà. Lo Spazzacamino Floro ridacchia poi inizia a tossire. L’Eros della peschiera lo fulmina con un’occhiata e il Floro correre di fuori per non disturbare. Lo vediamo piegato in due sul lavatoio che sputa catarro poi si risciacqua la bocca.
In cucina, il Sosto racconta che lui un qualche vitello l’ha già fatto nascere, anche quelli che son dentro al rovescio. Che devi infilar dentro l’intero braccio e farli voltare, spiega a gesti. Un lavoraccio. Mica sempre è possibile. Ci sono quelli che non c’è niente da fare e crepano dentro e paceamen.
Come se fossero cacciatori al bar, di sotto si raccontano storie fantasiose di parti. Il Natel Maieta viene fuori col dire d’avere visto un capretto nato con già su un dito di corna, e tutti lo deridono. Poi, mentre il sindaco Piergiorgio sta giurando che la coniglia di suo fratello aveva dato alla luce sedici coniglietti, dal piano di sopra giunge uno squillante lamento. È nata è nata, gridano giù dalle strette e ripide scale le gemelle Duska e Priska.
Femmina, fa il Brenno, e dà una pacca sulla spalla di suo fratello Sosto. Qui di sotto si danno pacche sulle spalle e si stringono le mani. Il Tito apre una bottiglia e si riattacca a bere.
Una bambina, fa il Sosto tra sé e sé col bicchiere fermo davanti alla bocca. Alla nostra salute, dice a voce alta e lo scola d’un fiato. Il Barbuto Pep Maestro beve e si schiarisce la voce e poi fa per dire qualcosa, uno dei suoi proverbi sul vino, forse. Ma diverse occhiate lo fanno desistere. Basta con ‘ste battute di merda, gli dice il Brenno.
Un bel momento, da in cima le scale appare la Viola Manidifata con in braccio un fagotto di stracci bianchi. Come la chiamate, domanda a voce alta per farsi sentire dalla Paolina sdraiata a letto e dal Sosto che sta stappando un’altra bottiglia. Il Sosto sale le scale, prende la neonata tra le sue forti braccia ed entra nella stanza. Come la chiamiamo, domanda alla Paolina. La Paolina non sa cosa rispondere, il viso sudato e sfatto. La Radio, la Gilda e le altre donne s’interrogano con gli occhi. La Vittorina prende un bel respiro e dice Felicità. Chiamatela Felicità.