Le nostre società, per definizione libere e aperte, non possono erigere muri, all’interno né verso l’estero. Devono rimanere accoglienti e democraticamente partecipate. Perché ciò avvenga nell’attuale mondo ‘sans frontières’, se ne devono però meglio definire i contorni.
Le migrazioni dei popoli sono sempre avvenute, dalle anabasi dell’antichità alle colonizzazioni dei nuovi mondi. Dando luogo a interrelazioni e contaminazioni che hanno arricchito la Storia dell’umanità. La questione è sempre stata quella della giustapposizione o integrazione fra le varie comunità, affiancato da quella del rispetto delle minoranze.
Problemi che la globalizzazione ha però oggi accentuato, nelle loro cruente manifestazioni più che nella loro sostanza. La Francia, dichiaratamente ‘repubblicana’, ha preteso quell’assimilazione che ha reso Chopin, Modiglianì, Yves Montand francesi a tutti gli effetti. La Gran Bretagna ha invece fidato nel pluralismo delle varie etnie provenienti dal suo Commonwealth. Una tolleranza della diversità che in America si è tradotta nelle varie Chinatown e Little Italy, poi progressivamente riassorbite (il ‘Black lives matter’ è un’altra cosa).
Coabitazioni che le crescenti aspettative economiche e sociali, e le conseguenti frustrazioni, lacerano oggi drammaticamente. Ciò in Europa avviene soprattutto, i fatti lo dimostrano, fra gli immigrati musulmani. Che non tutti siano propensi ad azioni terroristiche, e che il fondamentalismo religioso alligni ormai persino fra gli occidentali, si sa; ma tutti gli autori di atti terroristici, dalle crescenti cruente connotazioni sacrificali, sono di matrice islamica.
Un dramma essenzialmente esistenziale, si dovrebbe ritenere, più del temuto conflitto di civiltà, che, non potendo esprimersi nelle società di origine, si riversa in quelle di accoglienza. Una situazione che non può pertanto essere sanata che con l’attivo concorso delle autorità, civili e religiose, dei paesi di provenienza. Alle quali compete di rivolgersi ai loro correligionari per denunciarne fermamente gli effetti sterili e gravemente controproducenti per gli interessi delle stesse nazioni musulmane.
Se non a livello intergovernativo, ad opera di una Lega araba che l’Egitto non è mai riuscito a vitalizzare, quanto meno a livello politico-culturale. Cinquant’anni fa, per iniziativa del Marocco e di una ben diversa Turchia, fu fondata una ‘Conferenza islamica’, diventata ‘Organizzazione di cooperazione islamica’, allo scopo di elaborare e formulare un qualche comune denominatore di principi politici direttivi condivisi.
Una sua sessione ‘in remoto’ era stata prevista proprio in questi giorni! Atti di intransigente barbarie ne hanno vanificato i propositi, emarginando ulteriormente il mondo islamico dalla trattazione delle questioni mondiali.