Il simultaneo crollo degli imperi russo e ottomano indusse, nell’immediato primo dopoguerra, Lenin a stabilire con Atatürk dei rapporti di solidarietà, che seppellissero le antiche rivalità e aprissero a Mosca quello sbocco verso i mari caldi, che Il Trattato di Montreux sarebbe poi intervenuto a disciplinare.
Nell’odierno rimescolamento delle carte, un analogo rapporto, innescato dalla situazione siriana, si è riproposto fra Putin e Erdogan, inducendoli a procedere affiancati (in compagnia anche dell’Iran). Un connubio, quello fra Russia e Turchia, basato su interessi difformi, che compromette l’auspicabile più estesa risistemazione dell’intero continente europeo.
La diversità delle ambizioni dei due congiunti, emersa persino nella questione libica, si è ora manifestata con ancor maggior evidenza nello scatenarsi del conflitto fra Armenia e Azerbaigian in merito al Nagorno Karabakh. Uno dei tanti conflitti irrisolti lasciati da quel ‘divide et impera’ staliniano, che la nuova Russia continua a sfruttare per mantenere una qualche presa sul suo immediato vicinato.
Indispensabile, palesemente, rimane la revisione territoriale dell’intera regione caucasica, rimasta in sospeso dal disintegrarsi dell’Unione sovietica, e che l’OSCE ha potuto soltanto ‘congelare’. Non diversamente dall’Abkhazia e dall’Ossezia Meridionale in Georgia, il Nagorno Karabakh è un’enclave armena in territorio azero, corrispondente a quella azera del Nakichevan all’opposto confine armeno.
Un mosaico di etnie, troppo a lungo sepolte nelle carte strategiche, che la comunità internazionale non ha voluto ricomporre con la necessaria determinazione. Il ‘gruppo di Minsk’, istituito dall’OSCE fra Russia, Stati Uniti e Francia, si trascina da anni; l’accordo impostato dall’ONU nel 2009 per la normalizzazione dei rapporti fra Ankara e Erevan non ha avuto alcun seguito. A dimostrazione della generale rassegnazione al protratto ostruzionismo di Mosca.
Territorialmente e politicamente isolata, priva di materie prime e di alleati, l’Armenia cristiana non dispone che del puntello di una base militare russa al confine con la Turchia. Gonfio di idrocarburi, l’Azerbaigian, turcofono, ritiene di poter avvalersi del sostegno dell’aspirante nuovo Sultano ad Ankara. L’Europa e la NATO non possono che star a guardare: fra moglie e marito…
Un intreccio di aspirazioni contrastanti che lacerano l’antica terra del Vello d’Oro, fra il Mar Nero e il Caspio, agli estremi confini orientali di un continente che, per la contrapposta ostinazione della strana coppia formatasi fra Russia e Turchia, tarda a ricomporsi. Compromettendo le stesse prospettive di stabilizzazione nell’intero Mediterraneo orientale.