Una cosa non si è mai fermata durante la Covid-19, ed è la “Nuova Via della Seta” (Belt and Road Initiative, BRI) che avanza inesorabile dall’estremo Oriente verso il centro Europa, realizzando una poderosa infrastruttura strategica mista (terrestre e marittima), la cui parte navale costeggia tutta l’Asia Orientale e Meridionale, arrivando fino al Mar Mediterraneo attraverso il canale di Suez. Un ambizioso e controverso progetto promosso nel 2013 dal governo cinese come parte fondamentale del “nuovo Sogno Cinese” di Xi Jinping, non privo di ombre e sospetti come ben sappiamo.
Per capire le prospettive della Via della Seta attraverso la sua storia, vi consiglio il libro di Franco Cardini e Alessandro Vanoli, La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente (Il Mulino, 2017) che ripercorre i molteplici percorsi che hanno storicamente collegato Oriente e Occidente, offrendo un contributo importante per ripensare in una prospettiva non eurocentrica la complessità delle radici antiche del nostro mondo globalizzato.
Torniamo ad oggi, alla nuova via. L’Italia è direttamente coinvolta nel progetto, sia offrendo l’ultimo porto del Mediterraneo (Venezia o Trieste, o i porti del Mezzogiorno? come vedremo più avanti) prima del transito delle merci verso il Nord Europa, sia costituendo una piattaforma cruciale per la trasformazione dei flussi di merci che la attraversano in flussi per alimentare un riposizionamento politico dell’Europa e della Cina.
Il progetto non è del tutto nuovo per l’Italia, perché nel 2007 ha avuto un precedente a bassa intensità, una sorta di prova generale di riconfigurazione degli equilibri economico-politici basati sul trasporto delle merci. Il “Corridoio Meridiano”, pensato dal Ministero delle Infrastrutture con il concorso dell’Università di Palermo (ero io il responsabile scientifico), era, infatti, un dispositivo territoriale multimodale (ferrovia-porti-aeroporti) basato sul ruolo centrale del Mezzogiorno (la Sicilia in particolare, grazie anche al Ponte sullo Stretto) in grado di creare un’armatura mediterranea est-ovest di riqualificazione delle risorse, di sviluppo dell’accessibilità, di propulsione dell’economia e di promozione delle eccellenze.
Oggi, inserito nel semi-planetario progetto della BRI, il Corridoio Meridiano costituirebbe un progetto di armatura euromediterranea capace di coinvolgere, da protagonisti, i porti del Mediterraneo meridionale,(soprattutto quelli italiani adesso che ci sono le Autorità Portuali di Sistema) connettendoli all’armatura euroasiatica per rivitalizzare nodi portuali, corridoi ferroviari ad alta capacità e, soprattutto, piattaforme logistiche e produttive e per riconfigurare le geografie economiche (ma anche culturali) dell’area Mediterranea. La sinergia tra Corridoio Meridiano e Nuova Via della Seta concorrerebbe, così, a ridefinire le relazioni economiche – ma anche quelle culturali, scientifiche e umanitarie – attraverso l’individuazione di percorsi alternativi all’allineamento dominante dei traffici in direzione nord-sud.
La Nuova Via della Seta, naturalmente, non è solo un progetto infrastrutturale, ma un’ambiziosa visione geopolitica a trazione cinese che dobbiamo saper gestire e non subire, sebbene sia accompagnata da cospicue, e seducenti, risorse economiche. Come quelle dell’accordo della Cina con 50 paesi africani per investimenti in infrastrutture, logistica, sicurezza, sanità e tecnologia verde pari a 60 miliardi di dollari.
Investimento che fa seguito alla costituzione, nel 2016, di una nuova banca internazionale a supporto del corridoio asiatico: l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), che ha sconvolto l’assetto delle principali istituzioni finanziarie mondiali, contrapponendosi esplicitamente alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, considerate troppo America-centriche (leggete il libro di Giada Messetti, Nella testa del dragone, Mondadori, 2020). L’Italia, che fa parte dei soci fondatori attraverso una cospicua partecipazione al capitale, è direttamente coinvolta dai possibili investimenti infrastrutturali sui porti e gli aeroporti, ma dobbiamo farlo con una visione critica e proattiva, con un progetto di futuro, e non subendo la pressione delle ingenti risorse economiche che attraversano la Via della Seta (certo, via dei soldi e delle materie prime, ma anche di culture e persone), non limitandoci ad aver cambiato il nostro “compratore”.
Infrastrutture, logistica, filiere produttive, turismo e risorse economiche ci sono, sta a noi intercettarli e arricchirli di un progetto nazionale che coinvolga, da protagoniste, le città italiane (e non solo i porti o le imprese), perché esse sono le nostre “fabbriche di civilizzazione”. Serve una visione a lungo termine dello sviluppo territoriale dell’Italia, connessa al Green New Deal europeo e cruciale anche per il redigendo progetto per la ripartenza postpandemica, attraverso il nuovo “corridoio liquido” est-ovest integrato alle tradizionali direttrici nord-sud.
E’ l’occasione per una strategia mediterranea capace di agire in accordo con il nuovo approccio alla mobilità delle persone e delle merci composto da fasci di percorsi multipli e dall’intermodalità dei nuovi clusters portuali e aeroportuali, definiti dalla strategia nazionale dei trasporti, dalle città metropolitane, viste come global gateways dei territori di riferimento, dei territori intermedi bisognosi di nuove accessibilità. Se ripensato strategicamente coinvolgendo i territori del Sud, i porti siciliani soprattutto (Augusta-Catania da un lato e Trapani-Palermo-Termini Imerese dall’altro, connessi alla rete ferroviaria nazionale senza interruzione), costituirebbe un progetto redistributivo di opportunità, attivatore di nuove relazioni economiche capaci di agire positivamente anche sul versante dei diritti umani e della democrazia (necessaria controparte negoziale per uno stato di diritto come l’Italia), sospinti da una laica etica della convenienza, che torni a far transitare dal Mediterraneo verso la Cina anche idee, filosofia, cultura e politica.
In fondo si tratta di ravvivare il senso storico delle “Vie della Seta”, le antiche direttrici che collegavano il Mediterraneo alla Valle dell’Indo, battute da mercanti, conquistatori, pellegrini e nomadi provenienti dai luoghi più disparati, per scambiare materie prime, merci e manufatti, e anche violenza e malattie (ancora oggi, purtroppo), ma soprattutto erano le idee che si incrociavano lungo la via della seta, ibridandosi per produrre innovazione nella scienza, nella filosofia, nella politica (lo racconta bene Peter Frankopan nel libro Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Mondadori, 2017).
La sfida è quella di intervenire attraverso una combinazione di politiche e interventi di scala locale, connessi a quelli di scala pan-europea ed euro-asiatica, capaci nell’insieme di rendere attraente per il traffico, la logistica e la manifattura di ultimo miglio la direttrice est-ovest dell’area meridionale dell’Europa. Dal punto di vista delle infrastrutture di trasporto e dei nodi logistici il Corridoio Meridiano possiede già una prima ossatura che ne consente un’immediata attivazione, formata dalle parti già realizzate dei corridoi transeuropei e dagli interventi strategici per completarli (il Ponte sullo Stretto è indispensabile per completare il Corridoio Finnico-Mediterraneo), dai grandi porti e aeroporti del Mediterraneo e dalle principali rotte navali.
Il successivo potenziamento potrà essere attuato a partire dalla concentrazione di interventi mirati sui nodi e sulle reti di maggiore potenza o sui quali vi è già una concentrazione di investimenti unilaterali (come ad esempio alcuni sistemi portuali del Maghreb) per attivare distretti produttivi transnazionali che pongano l’Italia non più solo come hub, ma come piattaforma di trasformazione e lavorazioni ad elevato valore aggiunto, mettendo a sistema le nostre esperienze ed eccellenze (ne parlo anche nel mio libro Futuro. Politiche per un diverso presente, Rubbettino, 2019).
Infrastrutture, logistica, filiere produttive e turismo sono le componenti già individuate e necessarie, ma non basta! Lo ripeto: lungo le rotte si deve anche costruire la “via della conoscenza”, delle idee, della cultura e delle città.
Serve una visione a lungo termine per una Nuova Via della Seta (le merci) e del Fosforo (le intelligenze), capace di agire (soprattutto per l’Italia) come attivatore di nuove opportunità di collaborazione tra Mediterraneo e Asia: grande sfida politica e culturale di un mondo in metamorfosi, in piena guerra per il dominio scientifico e tecnologico (tra reti 5G, intelligenza artificiale, Internet delle cose e vaccini anti-covid), ma anche per il dominio dell’immaginario culturale, una volta offuscato quello americano, tra scelte sbagliate e incredibili pubblicità di fagioli in scatola dall’Oval Office (per orientarvi leggete il libro di Massimo Teodori, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale, Rubbettino, 2020).
Per le nostre imprese e per le nostre università un campo di fertile collaborazione sono le città, il luogo dove avviene lo scambio di potenza tra i grandi flussi cinesi e la capillarità delle relazioni italiane. Nelle città italiane ed attorno ad esse può avvenire lo scambio di esperienze e know-how nei settori dell’intelligenza artificiale (l’Italia, ad esempio, ha necessità di gestire in maniera intelligente i dati per la sicurezza idrogeologica e sismica del territorio), della conservazione del patrimonio culturale (su cui la Cina sta cominciando ad investire cospicue risorse e guarda con attenzione alle pratiche europee), delle industrie creative (l’Italia e la Cina fanno già parte della grande rete delle città creative dell’Unesco), della rigenerazione urbana innovativa (la Cina comincia a interrogarsi sulle diseguaglianze sociali e spaziali delle sue città, guardando al modello urbano italiano e numerose sono le collaborazioni con le università italiane in questo campo), dell’energia da fonti rinnovabili (la Cina è all’avanguardia tecnologica e non si è ritirata, come altri, dall’Accordo di Parigi) e delle smart cities (la Cina ha intrapreso un programma ambizioso e l’Italia ha bisogno di una profonda trasformazione digitale delle sue città), solo per fare alcuni esempi dei campi di collaborazione nell’ambito delle politiche territoriali.
Ognuno di queste occasioni di scambio potrebbe non solo generare investimenti (oggi le imprese cinesi sono molto attive, ma ancora secondo un modello pseudo-predatorio), ma anche attivare una rimodellazione cooperativa delle aree in declino delle nostre città, con un rapporto di maggiore (e più sicuro) cointeresse tra le parti.
La sfida che ci attende – delicata e pericolosa vista la magnitudo dell’interlocutore – è quella di intervenire attraverso una combinazione di azioni di scala locale e di scala euro-asiatica capaci di rendere attraente per i flussi di beni, servizi e conoscenze la direttrice est-ovest che attraversa il Mediterraneo, poggiando sulla Sicilia, ma interessando l’intero paese, concorrendo al suo necessario progresso, anche nello scenario del nuovo riposizionamento geopolitico dell’Europa in un mondo multipolare.
La Cina è di nuovo un “mondo che ci riempie di meraviglia e di stupore” (anche di preoccupazioni, aggiungiamo noi), come lo definiva Goethe guardandolo attraverso Il Milione di Marco Polo. Il risveglio del Dragone, paventato da Napoleone, è avvenuto, mentre l’Aquila sembra voler volare solo sopra Mar-a-Lago, l’Orso si traveste da Zar, l’Elefante non sa decidere tra democrazia e dittatura ed Europa si trastulla in groppa al suo toro bianco non decidendosi a vivere l’ambizione del suo sogno.
Insomma, in un mondo in metamorfosi, la nuova via della seta e delle città ci sfida a gestire un concretissimo ambito di traffici e di scambi in cui alla corposa materialità delle merci (l’ambra, la seta e le spezie, prima, l’agroalimentare, la meccanica e la tecnologia, oggi) si aggiunga l’immaterialità della ricerca, dei dati, del design e dei diritti, nuova materia prima nella geopolitica della conoscenza e della democrazia.