Stavamo facendo un aperitivo sul tetto di un hotel con vista panoramica su St. Moritz. Guarda, mi aveva detto. Il pizzo è quello a punta su là a destra di quella macchia di neve in quel canalone. E per salirci devi partire da là, aveva indicato. Vedi la chiesetta là in fondo? Ecco, lì dietro parte il sentiero. Non ti puoi sbagliare, ci sono i cartelli, ma basta che continui ad andare in su. E poi prima d’arrivare in vetta c’è un laghetto, d’un bel verde smeraldo
Il telefonino mi sveglia alle 6:30. Ho dormito poco più di 4 ore. Dopo il firmacopie presso la libreria Wega e la presentazione del libro organizzata dalla Pro Grigioni Italiano, sono stato invitato all’aperitivo prima, e a cena dopo. E tra una cosa e l’altra ero rientrato all’hotel che era mezzanotte. Gli eventi della giornata e il pensiero di salire su quel pizzo non mi lasciavano dormire.
La colazione la danno dalle 8, ma in cucina trovo una signora gentile che mi prepara una tazza di tè. Mangio del pane, preparo il mio zaino leggero e parto. Nel mio zaino ho caricato un litro d’acqua e ci ho messo una banana e la giacca a vento, tanto leggera e sottile da occupare uno spazio grande poco più di un pugno.
Fuori fa un freddo becco. Ieri mattina sono partito dal Malcantone, in Ticino, che c’erano 25 gradi. Adesso, qua fuori il termometro appeso alla partenza della cabinovia St. Moritz – Signal segna 3 gradi. Meno male non tira il vento. Mi hanno detto che di solito si alza attorno alle 11 e si quieta al tramonto.
Attraverso la strada engadinese numero 27, deserta, e accelero il passo. Passo di fronte a una grande costruzione elegante, bianca che sembra una reggia, sulla facciata le scritte Grand Hotel des Bains, e Casinò. Incrocio un giovane uomo che corre, un saluto con la mano alzata, uno sguardo fugace alla marca delle scarpe, al vestiario. A differenza di me, lui veste come io vesto in inverno. Porta pure i guanti. Io sono vestito il più corto e leggero possibile.
E là in fondo vedo la chiesetta, l’Eglise au Bois. La raggiungo, le giro attorno ed ecco il sentiero. Un cartello segna il pizzo che voglio raggiungere, il Piz de l’Ova Cotschna. Ieri, durante l’aperitivo, avevo guardato sul telefonino. È alto 2’716 metri. St Moritz è 1’822. Quasi 900 metri di dislivello. Alzo lo sguardo e vedo la vetta, la montagna sale secca.
Il sentiero mi accoglie dolce dentro la pineta semibuia, è un avanzare morbido sul suolo compatto di sottobosco. Profumo di resina. Non incontro nessuno per un gran pezzo, fino a quando supero una ragazza che sale lenta nei suoi scarponi, trasportando un grosso zaino e aiutandosi coi bastoncini d’escursionismo. Che io detesto, ho provato a correre con quei cosi, ma dopo un po’ non so più cosa farmene e dove metterli.
La supero, ciao, le faccio, hallo, mi risponde, e via che me la son già lasciata alle spalle ed esco dalla pineta. Il sole sta sorgendo sopra a sinistra, il mio pizzo lo vedo a destra. Ben presto mi ritrovo a correre su un pendio sassoso e ripido. Devo rallentare l’andatura. A tratti cammino, tiro il fiato e guardo il panorama. Dall’altra parte della vallata riconosco il Piz Nair. Supera di poco i 3’000 metri. Avevo intenzione di salire su là, poi ho incontrato una persona che mi ha consigliato il Piz de l’Ova Cotschna. Più basso, ok. Ma con una vista impagabile, mi aveva detto.
Il sole esce e scalda. L’aria è immobile, non sono ancora le 11. Saranno le 8, forse le 8:30. Non lo so. Il telefonino ce l’ho nello zaino e non mi va di toglierlo. Lo userò soltanto per scattare due o tre foto una volta arrivato in vetta. So soltanto che dalla chiesetta alla sommità del pizzo ci sono circa 7 Km.
Avanzo a passo regolare, ascolto il mio respiro e tengo il ritmo costante. Sarebbe bello riuscire a non pensare a niente, concentrarsi soltanto sulla corsa, ma ho la mente che vaga e come mio solito parlo a me stesso. Poi, a un certo punto, un pensiero si fa avanti. Quando corro di mattino presto in Valle di Blenio, penso, incontro sempre un qualche selvatico. Caprioli, marmotte, cervi. Stamane, invece, neanche l’ombra.

Supero una striscia di sentiero roccioso e mi ritrovo davanti il laghetto verde smeraldo che raccoglie la neve sciolta del canalone che lo sovrasta. Diametro di una trentina di metri. Giace contento e brillante, circondato da erbe alpine e sassi e neve vecchia. Tocco l’acqua con la mano e proseguo. La vetta è vicina, la vedo. Andrò su, farò le foto, mi guarderò in giro. Ieri mi hanno detto che si vede il lago di Silis, quello di Silvaplana, quello di Champfèr, quello di St Moritz e due minori. Uno dei quali chiamato laghetto del gallo cedrone perché nella pineta che lo circonda vivono diversi galli cedroni. E da lassù avrò l’Engadina ai miei piedi… Mangerò la banana, berrò, e poi lo so già che nel ritornare mi fermerò qui, al laghetto. E mi ci butterò dentro quel tanto che basta per sentire i brividi correre su lungo la schiena a stringere il cuoio capelluto attorno al cranio.
Scorrevole , molto stuzzicante , piacevolissimo !!! Bravo 👏
Grazie Mario!!