Economia Sociale di Mercato: sfida al paternalismo di Stato e al Laissez-Faire

di 1 Luglio 2020

Enzo Di Nuoscio. Flavio Felice

“Politicainsieme.com”

La settimana scorsa, giovedì 17 giugno, facendo seguito all’articolo dell’11 giugno, con il quale abbiamo introdotto una serie di articoli dedicati all’Economia Sociale di Mercato e, in particolar modo, alla sua teoria monetaria, che a parere di numerosi e autorevoli studiosi starebbe alla base del processo di unificazione europea iniziato all’indomani del Secondo Dopoguerra, affermammo che il secondo perno teorico intorno al quale muove l’Economia Sociale di Mercato è l’affermazione che una sana e dinamica economia di mercato è sempre condizionata da un ordine giuridico che la regola e da istituzioni sociali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi, che interagiscono con essa e la influenzano, essendone esse stesse influenzate.

Ricordiamo che il nucleo principale del “programma di ricerca” su cui lavorarono, sin dagli anni ’30 del secolo scorso, intellettuali come W. Eucken, F. Böhm, H. Grossmann-Dört, C. Dietz, A. Lampe, che videro nell’abominio totalitario l’infrangersi dell’ideale umanistico liberale e cristiano della Civitas Humana, può essere sintetizzato nei seguenti tre punti: a) Il mercato è il più potente dispositivo di problem-solving; b) L’economia di mercato ha bisogno di una cornice giuridica ed etica per non degenerare; c) Garantire una solidarietà liberale attraverso una politica della concorrenza e il reddito minimo garantito. Questa settimana, dopo aver sintetizzato i caratteri salienti del primo punto e del secondo punto, avendo sempre come riferimento il volume antologico Moneta, sviluppo e democrazia. Saggi su economia sociale di mercato teoria monetaria, a cura di Francesco Forte, Flavio Felice e Enzo Di Nuoscio (Rubbettino, 2020), accenneremo alle ragioni che stanno a fondamento del terzo punto: c) Garantire una solidarietà liberale attraverso una politica della concorrenza e il sostegno al reddito che può giungere fino alla forma di un reddito minimo, di cittadinanza, d’inclusione che dir si voglia.

Liberali fortemente sensibili al miglioramento delle condizioni di vita dei meno abbienti, i teorici dell’Economia Sociale di Mercato indicano due vie attraverso cui lo stato deve perseguire la solidarietà: una “politica della concorrenza” costumer oriented e interventi “fuori dal mercato” per migliore le chances di vita dei più svantaggiati. Il nucleo della “politica della concorrenza” è rappresentato dalla lotta contro i monopoli e gli oligopoli, che sono fonte di «sfruttamento, privilegi, feudalesimo industriale, restrizione dell’offerta e della produzione, disoccupazione cronica, aumento del costo della vita, inasprimento dei contrasti sociali». Chi ha veramente a cuore la libertà individuale, il progresso e la solidarietà deve dunque dichiarare guerra ai monopoli, i quali, riducendo il potere di scelta dei consumatori, annullando l’incentivo all’innovazione, rappresentato dalla concorrenza, e imponendo i prezzi dei beni e servizi, sono per Luigi Einaudi “il nemico numero uno dell’economia libera”, fonte di “disuguaglianze sociali”, poiché consentono di realizzare profitti che in realtà sono “un ladrocinio commesso ai danni della collettività”.

Ad ogni modo, il rapporto tra mercato e solidarietà non si esaurisce nella lotta contro monopoli, oligopoli e speculatori. L’economia di concorrenza, essendo il mezzo più efficace per produrre e per far circolare conoscenze e rappresentando il meccanismo più efficiente per allocare e distribuire le risorse, è anche il miglior sistema per offrire mezzi a coloro che non sono in grado di competere, al fine di metterli nelle migliori condizioni per realizzare i propri obiettivi. Non deve dunque meravigliare che i teorici dell’Economia Sociale di Mercato, e in particolare Röpke, Einaudi e Hayek, in nome del “primato dell’etica” sull’economia, siano arrivati a proporre un reddito minimo garantito, insistendo sulla necessità di una “legislazione sociale” ispirata al “principio generale che in una società sana l’uomo dovrebbe poter contare sul minimo necessario per la vita”, attraverso un intervento dello Stato che migliori le chances dei meno abbienti e che “avvicini, entro i limiti del possibile, i punti di partenza” degli individui.

Irriducibili nemici della pianificazione collettivista e critici implacabili delle degenerazioni del “capitalismo storico”, questi autori hanno proposto quella che Röpke non ha esitato a chiamare una “terza via” tra pianificazione e liberismo. Una “terza via” liberale e solidale, alternativa anche allo statalismo socialdemocratico tradizionale, ispirata a un “umanesimo economico” che metta al centro dell’organizzazione economica e dell’intervento politico la persona umana e che assegna allo Stato il compito di aiutare i più deboli proteggendo la concorrenza e assicurando «un punto di partenza a tutti gli uomini perché possano sviluppare le loro attitudini».

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