L’indispensabile, urgente, sistemazione della situazione nel Mediterraneo non può prescindere da quella nei Balcani, che rimane precaria, sostanzialmente armistiziale. Il venir meno del collante esterno della Guerra fredda ha disintegrato lo Stato federale degli ex jugoslavi (‘slavi del sud’) creato di sana pianta dalla Pace di Versailles, in contrasto con il disfacimento degli antichi Imperi multietnici.
Il principale argomento del contendere rimane la questione del Kosovo, la cui autoproclamata indipendenza la Serbia, sostenuta dalla Russia, non intende riconoscere. Un rapporto da ricostruire, che la mediazione dell’Unione europea era riuscita a delineare, con la solita prospettiva dell’adesione all’Unione; un nodo gordiano che l’America di Trump intendeva invece tagliare a favore di Pristina; un intrico del quale la Cina approfitta per insinuarvi la sua presenza.
Vinte abbondantemente le elezioni anche per l’astensionismo delle opposizioni, Il nazionalista serbo Vucic era stato appena invitato a Washington assieme al kosovaro Thaci; quando quest’ultimo è stato incriminato per crimini di guerra dalla ‘Corte Speciale per il Kosovo’ con sede all’Aja, che l’Europa ha imposto come precondizione per le sue prospettive di associazione all’Unione.
Se le presunzioni negoziali di Trump sono quindi fallite, l’Europa non può certo rallegrarsene, ostacolata com’è dal mancato riconoscimento del Kosovo di cinque dei suoi membri, preoccupati dalle possibili ripercussioni sui loro stessi movimenti secessionisti interni. Il che blocca il ‘cammino europeo’ non soltanto di entrambi i contendenti, ma della stessa Albania e della Macedonia del Nord, spuntando così l’unica arma a disposizione dell’Unione e aprendo la strada alle più diverse interferenze estranee alla regione (così come in Siria, in Libia!). Tenendo in ostaggio la ricomposizione complessiva del mosaico balcanico.
Invece di diluirne gli opposti ‘sovranismi’ in un più ampio ambito europeo, si ipotizza per ora uno scambio di territori: la città di Mitroviça in cambio della valle di Preševo. Una soluzione che sancirebbe, e acuirebbe invece di superare, le distinzioni etniche regionali, che già Ivo Andric aveva così efficacemente, e profeticamente, descritto nel suo ‘Ponte sulla Drina’, che divide la città di Visegrad (nomen omen!).
Nei Balcani come altrove, la ricomposizione di una qualche governabilità nazionale e regionale comporta invece necessariamente la ricomposizione delle antiche coabitazioni, e della convivenza fra le tante diversità nazionali, con soluzioni federali se non propriamente neo-imperiali. Ricostruire passa attraverso il rispetto delle minoranze, che costituisce la prova del nove dell’affidabilità di uno Stato. In Europa quanto nel più vasto mondo, in Egitto, Russia, Cina; persino negli USA.