La campana della chiesa batte sei rintocchi. Il tempo di chiudere a chiave la macchina che già si allontana correndo. Sciolto con le sue scarpette nuove da trail della Salomon e venti anni meno dei miei. Credevo di fare i primi cinque minuti camminando. Di solito faccio così. A passo veloce mi guardo attorno, scaldo le gambe. M’immergo col pensiero nei chilometri che devo affrontare. E poi parto.
Lo raggiungo e gli sto in scia. Sono ancora legato. Impiego sempre una decina di minuti prima di rompere il fiato. Ci siamo conosciuti per caso la scorsa settimana. Parla del più, parla del meno. Ed eravamo finiti per parlare di montagne e di corse in montagna. E mi aveva invitato a fare questo giro. Si parte dal fondovalle e poi si va su a fare una cresta. Un giro sei ore, mi aveva detto.
Il sole non è ancora salito. L’aria di fine maggio è fresca. Il paese dorme ancora. Cantano solo gli uccelli che svolazzano sul prato appena falciato. Quelli granivori in cerca di semi. Quelli insettivori a caccia di moscerini. C’è già umidità, oggi qui in basso farà caldo. Superato un ponticello di legno, una mulattiera sale secca. I sassi sono scivolosi. Ieri sera ha piovuto. Corriamo nel bosco di castagni e faggi senza aprire bocca. Abbiamo i passi sincronizzati. Tra un passo e l’altro le mie orecchie catturano il silenzio che ci circonda.
Delle lame di luce penetrano oblique tra le fronde. Il sole sorge. La montagna vibra di nuova energia e si risveglia. Un torrente taglia il nostro percorso. Mi fermo e immergo i piedi senza togliere le scarpe. Lo faccio spesso, ho di queste abitudini. In inverno prendo la neve polverosa tra le mani e me la friziono sulla faccia.
Ora che siamo fuori dal bosco, il sentiero si srotola dolce in un prato da pascolo. Crescono già le genziane blu e i crocus bianchi. Di vacche non ce ne sono, è troppo presto, la neve è appena qua sopra. Passiamo davanti alla stalla chiusa. Le ortiche crescono sul mucchio di letame vecchio. Si sente un fischio. La marmotta sentinella ci ha visti. È eretta su un sasso. Fa un altro fischio poi si rintana. Altre la imitano.
La cresta che vogliamo affrontare è rocciosa. La guardiamo schermando il sole con la mano sulla fronte. Sale ripida e continua in un sali scendi di bruschi passaggi. È abbastanza corribile, mi spiega. Però in alcuni tratti hanno fissato delle corde d’acciaio, ci si deve arrampicare. Un’aquila vola in cerchio, alta sopra di noi. È il maschio, dice. Ci sarà il nido nei paraggi. La femmina starà covando e lui protegge il loro territorio e va a caccia. Indichiamo una parete rocciosa verticale. Il nido potrebbe essere su là, aggrappato a una cengia o dentro un crepaccio.
Dopo due ore di corsa ci sediamo all’ombra di un boschetto di larici. Sono in fiore. Quello femminile è una piccola pigna di colore porpora che guarda verso il cielo. Dal mio sacchetto pesco di che rifocillarmi. Quando corro in montagna bevo solamente acqua, anche quella dei torrenti. E mangio del miele.
Lui mangia una barretta energetica, prende una capsula e la ingoia con un sorso di un liquido giallo. La barretta è un misto di proteine, carboidrati e grassi, mi dice. È bio, è quasi un pasto. La capsula contiene elettroliti. Magnesio, sodio, potassio, calcio e altri minerali. Mentre il liquido giallo è succo d’arancia con dentro della maltodestrina, carboidrati complessi solubili.
Anni fa, quando avevo iniziato a correre in montagna, facevo anch’io uso di elettroliti, barrette energetiche, gel di carboidrati, caramelle alla caffeina e tutti quei prodotti pubblicizzati dai migliori corridori professionisti. Bastava che uno di loro se ne usciva dicendo d’avere trovato il gel migliore o la polverina magica, che mi fiondavo in internet a ordinarlo.
Col passare del tempo sono ritornato alle basi. Ho eliminato del tutto quei prodotti così detti tecnici, e non me ne può importare che adesso fanno anche le barrette bio. Mi carico di carboidrati la sera prima, mangio una banana a colazione e sono pronto per correre. Sotto le due ore bevo solamente acqua. In inverno ne faccio anche a meno. Superate le due ore ricarico la batteria col miele. Vado avanti anche sei ore con solo miele. Oltre non sono mai andato. Se un giorno ci arriverò, allora scoprirò di cosa il mio corpo avrà bisogno.
Allora perché spendere tutti quei soldi in polveri magiche? Fanno davvero la differenza? Non so, chiedo a voi. Magari un piccolo aiuto in più lo possono dare, ma fino a quanto? E a che livelli? Io sono convinto che l’aiuto principale te lo da il mentale, altro che gel e capsule. Si dice che per correre lunghe distanze il 90% è una questione mentale e il restante 10 è nella testa. Ditemi voi, siete d’accordo? Io l’ho sperimentato su di me, e posso dire che è vero.